Una affermazione della numerologia avanzata da alcuni praticanti conclude che, dopo osservazioni empiriche e investigazioni, attraverso lo studio dei numeri l'uomo potrà scoprire aspetti segreti di sé stesso e dell'universo.

lunedì 30 settembre 2013

Santo del giorno 30 Settembre

SAN GIROLAMO
Nato a Stridone in Illiria (odierna Portole in Croazia), studiò a Roma. Nel 379, ordinato prete dal vescovo Paolino di Antiochia, si recò a Costantinopoli, dove poté perfezionare lo studio del greco sotto la guida di Gregorio Nazianzeno (uno dei "Padri Cappadoci"). Risalgono a questo periodo le letture dei testi di Origene e di Eusebio.
Dopo tre anni di vita monastica tornò a Roma, nel 382, dove fu segretario di papa Damaso I, divenendone il più probabile successore. Il rigore morale di Girolamo, però, il quale era decisamente favorevole all'introduzione del celibato ecclesiastico e all'eradicazione del fenomeno delle cosiddette agapete, non era ben visto da buona parte del clero, fortemente schierato su posizioni giovinianiste.
Alla morte di papa Damaso I, la curia romana contrastò con grande determinazione ed efficacia l'elezione di Girolamo, anche attribuendogli una forte responsabilità nella morte della sua discepola Blesilla. Questa era una nobile ventenne romana, appartenente alla gens Cornelia e rimasta vedova ancor fanciulla, che aveva seguito la madre Paola e la sorella Eustochio nell'abbracciare convintamente le rigide regole di vita cristiana teorizzate da Girolamo, fatte di preghiera, meditazione, astinenza e penitenza, ben presto morendo a causa dei troppi digiuni. Data la singolarità dell'evento e la grande popolarità della famiglia di Blesilla, il caso sollevò un grande clamore. Gli avversari di Girolamo poterono facilmente dimostrare che le mortificazioni corporali teorizzate dal futuro santo erano semplicemente degli atti di fanatismo, i cui perniciosi effetti avevano portato alla prematura morte di Blesilla. Caduta la sua candidatura, sul finire del 384, fu eletto papa il diacono Siricio.
Girolamo, seguito dai suoi fedeli, tornò in Oriente, dove continuò la sua battaglia in favore del celibato clericale. Fondò a Betlemme un monastero maschile, dove andò a vivere, ed uno femminile. Dal 385 alla morte visse nel monastero da lui fondato. Morì nel 420, proprio nell'anno in cui il celibato, dopo essere stato lungamente disatteso, venne imposto al clero da una legge dell'imperatore Onorio.
Il Martirologio romano ricorda san Girolamo il 30 settembre.
Per la sua attività di traduttore della Bibbia viene considerato santo protettore dei traduttori e per i suoi studi legati all'antichità è considerato il patrono degli archeologi.
Numerose chiese storiche sono state dedicate a san Girolamo. Vari ordini religiosi e congregazioni si sono ispirati esplicitamente al santo.

sabato 28 settembre 2013

Santo del giorno 28 Settembre

SAN VENCESLAO I
Nato in un territorio dove il cristianesimo era poco diffuso, fu tuttavia educato in modo cristiano dalla nonna paterna, Ludmilla.
Divenne duca di Boemia e si preoccupò di cristianizzare il suo paese con l'aiuto dei missionari della Chiesa tedesca.
Venceslao dovette anche scontrarsi con quella parte di nobiltà, che insieme alla madre Dragomira e al fratello Boleslao, era rimasta pagana. Il fratello Boleslao tentò più volte di ucciderlo e ci riuscì tramite alcuni sicari nel 935 a Stará Boleslav (nell'attuale Repubblica Ceca).
Mentre moriva, Venceslao avrebbe esclamato: «Nelle tue mani, Signore, raccomando l'anima mia»
La tradizione narra che il suo sangue fosse rimasto sparso sul pavimento in legno e nessuno fosse riuscito a lavarlo.
Il corpo fu successivamente sepolto a Praga, nella cattedrale di San Vito. I cristiani del luogo cominciarono subito la venerazione del suo corpo e la sua fama di santità si diffuse in poco tempo in tutto il popolo.
Oggi San Venceslao è il santo protettore dello Stato boemo.
La Chiesa ha inserito il suo nome nel martirologio romano; attualmente è il patrono della Repubblica Ceca e della Boemia.
È venerato come santo dalla Chiesa cattolica. Era figlio di Vratislao I, duca di Boemia e della di lui consorte Drahomíra.

venerdì 27 settembre 2013

Santo del giorno 27 Settembre

SAN VINCENZO DE' PAOLI
Nato da un'umile famiglia contadina a Pouy, un borgo contadino presso Dax. Suo padre Jean de Paul è un piccolo agricoltore, sua madre Bertrande de Moras, invece, apparteneva a una famiglia di piccola nobiltà locale.
Vincenzo è indotto molto presto a fornire assistenza ai genitori che faticano a mantenere la famiglia numerosa, e trascorre i primi anni come pastore sorvegliando pecore, mucche e maiali. Tuttavia, deve lasciare la sua casa per Dax, dove suo padre lo iscrive alla Ecole des Cordeliers, un collegio gestito dai francescani. Il padre sperava di prepararlo a ottenere dei "buoni profitti" che avrebbero potuto integrare il reddito familiare.
Vincenzo vi rimase tre anni frequentando con successo i corsi di grammatica e latino. Fu per i suoi compagni un esempio di abnegazione, tanto che dopo un breve periodo di tempo, il signor Comet, un amico di famiglia, gli chiese di diventare tutore dei figli. Da lì a poco, manifestò la vocazione apostolica e il desiderio di diventare sacerdote.
A 16 anni ricevette la tonsura. Ciò significava entrare nel clero ed indossare la tonaca. Grazie ad un ricco avvocato della zona riuscì a studiare teologia a Tolosa e fu ordinato sacerdote il 23 settembre 1600 dapprima come secolare poi nella Compagnia del Santissimo Sacramento.
Nel 1605, mentre viaggiava su una nave da Marsiglia a Narbona, fu catturato dai pirati turchi e venduto come schiavo a Tunisi: fu liberato due anni dopo dal padrone che, nel frattempo, si era convertito al Cristianesimo. La veridicità di questa vicenda è stata peraltro messa in dubbio da qualche studioso.
Entrò poi nella corte francese come cappellano ed elemosiniere di Margherita di Valois; fu successivamente curato a Clichy, dove mise da parte le preoccupazioni materiali e di carriera e si dedicò intensamente all'insegnamento del catechismo e soprattutto all'aiuto degli infermi e dei poveri; fondamentale per la sua maturazione spirituale fu l'incontro con il grande Francesco di Sales.
Officia diversi mesi nella parrocchia di Châtillon-sur-Chalaronne in Dombes a Ars-sur-Formans dove lo farà due secoli dopo, Giovanni Maria Vianney, cd. “Curato d'Ars”. Diventa quindi il sacerdote di Saint-Sauveur Saint-Médard, dove ha ricostruito la chiesa della comunità dal 1622 al 1630. Nel 1623 ha fondato la Compagnia delle Dame della Carità, che hanno poi preso il nome di "Figlie della Carità di San Vincenzo de 'Paoli." Questo ordine ha avuto sede a Clichy dall'inizio del fino al 1970.
Nel 1613 fu assunto come precettore al servizio dei marchesi di Gondi; il marchese era governatore generale delle galere. Grazie al sostegno economico dei suoi mecenati, Vincenzo de' Paoli riuscì a moltiplicare le iniziative caritatevoli a favore dei diseredati e dei bambini abbandonati. Su richiesta della marchesa, che intendeva migliorare le condizioni spirituali dei contadini dei suoi possedimenti, nel 1625 formò un gruppo di chierici specializzati nell'apostolato rurale: il primo nucleo della Congregazione della Missione, i quali membri vennero poi detti Lazzaristi qui, dove si ordinarono molti membri, crea un seminario della Missione. Il primo Lazzarista sarà inviato nel Madagascar a partire dal 1648.
Il 29 novembre 1633, ha fondato la Città dei Poveri, dove ha avuto origine la congregazione delle Figlie della Carità sotto la responsabilità di Luisa di Marillac insieme a Marguerite Naseau. Le Figlie, note anche come "Suore di San Vincenzo de 'Paoli," si dedicarono al servizio dei malati e al servizio materiale e spirituale dei poveri. Questa istituzione è attualmente responsabile per l'Ospedale degli Innocenti in Parigi.
Le sue opere di carità e assistenza divennero tanto celebri che Luigi XIII di Francia lo scelse come suo consigliere: si allontanò dalla corte per divergenze con il cardinale Mazzarino e continuò a dedicarsi all'assistenza ai poveri anche durante la lotta della Fronda.
Vincenzo detiene anche il primato a Parigi per assistere le vittime della guerre di religione. Anche come membro della Compagnia del Santissimo Sacramento, invita alla moderazione contro il movimento protestante ma si oppone al giansenismo.
Nel 1635, fornì sostegno alle persone di Ducato di Lorena e Ducato di Bar, nonostante le devastazioni degli eserciti nemici.
Luigi XIII volle essere assistito da lui nei suoi ultimi momenti di vita fino al 14 maggio 1643.
È stato nominato per il "Consiglio di Coscienza" (Consiglio per gli Affari Ecclesiastici) da parte della reggente Anna d'Austria, per la quale era anche il confessore.   Fondò anche un ospizio per gli anziani, che divenne il Salpêtrière nel 1657.   Morto il 27 settembre 1660, fu sepolto nella chiesa di San Lazzaro, che faceva parte della casa di Saint Lazare poi di Saint-Denis, 28 settembre 1660, in una cripta scavata nel bel mezzo del coro della cappella.
La sua opera ispirò Giuseppe Benedetto Cottolengo, fondatore della Piccola Casa della Divina Provvidenza.
Papa Benedetto XIII lo ha proclamato beato il 13 agosto 1729 e canonizzato da Clemente XII il 16 giugno 1737. Attualmente il suo corpo è esposto in Cappella dei Lazzaristi, 95, rue de Sèvres a Parigi.
Fino al 1969, la memoria liturgica di san Vincenzo de' Paoli era celebrata il 19 luglio, ma papa Paolo VI ne ha spostato la festa al 27 settembre.

mercoledì 25 settembre 2013

Santo del giorno 25 Settembre

SANTE AURELIA E NEOMISIA
Secondo la leggenda riportata nell'Ufficio proprio della Chiesa anagnina il 25 settembre, le sorelle Aurelia e Neomisia, nate nell'Asia Minore e dedite fin dalla fanciullezza alla pietà, cresciute negli anni, per soddisfare la loro devozione, visitarono i luoghi sacri della Palestina e si recarono in pellegrinaggio ai più celebri santuari dell'Occidente. Partite da Roma e, mentre percorrevano la via Latina, sorprese dagli Agareni, che, dopo aver devastato Calabria e Lucania, avevano posto assedio a Capua, furono battute con verghe e ridotte in fin di vita. Ma un furioso temporale disperse i persecutori, e le due sorelle, libere, poterono proseguire il loro viaggio. Giunte nei pressi di Anagni, si stabilirono in una borgata, detta Macerata, ai piedi del colle e qui morirono in pace un 25 settembre. I loro corpi, venerati dagli abitanti del luogo, sepolti prima in un oratorio della borgata, furono poi trasportati nel cenobio di S. Reparata, presso le mura della città. In seguito il vescovo Rumaldo, mentre si trovava ad Anagni papa Leone IX, li collocò nella cattedrale, e quando questa fu ricostruita dal vescovo Pietro, essi furono onorevolmente riposti nella cripta di S. Magno, presso le spoglie di s. Secondina sotto l'altare ad esse dedicato.
L'unico testo a noi noto degli Atti delle due sante è contenuto nel cod. Chigiano C. VIII. 235, scritto all'inizio del sec. XIV. Il Baronio, che inserì il nome delle due vergini nel Martirologio Romano, dice di aver avuto conoscenza dei loro Atti, ma di aver trovato il testo alquanto corrotto. I Bollandisti, che trascrissero quegli Atti dai mss. di Costantino Caetani (ora nella Biblioteca Alessandrina di Roma), li giudicarono talmente infidi da non meritare di essere pubblicati, e tennero in qualche conto soltanto alcune notizie relative alle traslazioni delle reliquie.
Se i caratteri interni della leggenda rivelano nell'anonimo agiografo lo studio di una composizione letteraria non preoccupata dell'accertamento, forse già allora non più possibile, di fatti della vita delle due sorelle, dobbiamo, però, riconoscere che egli ha cercato di fissare cronologicamente la seconda traslazione delle reliquie e la loro definitiva deposizione con il riferimento a personaggi a noi noti: il vescovo Rumaldo e il vescovo Pietro da Salerno.
Le due vergini sono ripetutamente rappresentate negli affreschi del sec. XIII, nella cripta della cattedrale: ai lati della Madonna nella conca absidale dietro l'altare ad esse dedicato; nuovamente nella parete sinistra accanto all'altare. Nella nicchia fatta dipingere da Giacomo de Guerra nel 1324 le due sante sorelle fiancheggiano il vescovo Pietro.
Parte considerevole delle reliquie di Aurelia e Neomisia si conserva in due urne, fatte eseguire nel 1903 dal vescovo Antonio Sardi, che si espongono sull'altare maggiore della cattedrale il 25 settembre, giorno in cui le sante sono festeggiate.

martedì 24 settembre 2013

Santo del giorno 24 Settembre

SAN PACIFICO DA SAN SEVERINO
Era figlio di Antonio Maria Divini e Mariangela Bruni e nacque a San Severino nelle Marche. I suoi genitori lo lasciarono orfano poco dopo aver ricevuto la cresima a 3 anni.
Visse di stenti finché, nel dicembre 1670, ricevette l'abito francescano a Forano e assunse il nome di fra' Pacifico.
Ordinato sacerdote il 4 giugno 1678, fu lettore di filosofia (1680-1683) per i giovani aspiranti al sacerdozio del suo Ordine.
Successivamente si dedico per 6 anni alla predicazione nelle vicine contrade, finché cominciò a essere tormentato da malattie che affrontò con perfetta letizia per 29 anni, dedicandosi alla vita contemplativa. Ricevette visioni e divenne famoso nella sua regione per i miracoli che avrebbe operato (tra i quali la previsione del terremoto del 1703).
Nonostante la cecità e la sordità fu fatto frate guardiano (1692-1693) della sua comunità di Santa Maria delle Grazie a San Severino, dove poi mori.
Papa Pio VI lo proclamò beato il 4 agosto 1786 e Papa Gregorio XVI santo il 26 maggio 1839.

sabato 21 settembre 2013

Santo del giorno 21 Settembre

SAN MATTEO
San Matteo apostolo ed evangelista, nato Levi, di professione esattore delle tasse, fu chiamato da Gesù ad essere uno dei dodici apostoli.
La tradizione cristiana lo riconosce unanimemente quale autore del Vangelo secondo Matteo, in cui lo stesso viene chiamato anche Levi o il pubblicano; alcuni autori della moderna esegesi biblica tuttavia contestano questa identificazione e le opinioni sull'identità dell'autore del Vangelo secondo Matteo sono discordanti. A Matteo sono anche tradizionalmente riferiti dei testi apocrifi: il Vangelo dello pseudo-Matteo, che parla dell'infanzia di Cristo, gli Atti di Matteo e il Martirio di Matteo che ne descrivono la predicazione.
Viene raffigurato anziano e barbuto, ha come emblema un angelo che lo ispira o gli guida la mano mentre scrive il Vangelo. Spesso ha accanto una spada, simbolo del suo martirio. Matteo non va confuso con l'apostolo quasi omonimo Mattia.
San Matteo era anche chiamato Levi, in quanto pubblicano, era membro di una delle categorie più odiate dal popolo ebraico. In effetti a quell'epoca gli esattori delle tasse pagavano in anticipo all'erario romano le tasse del popolo e poi si rifacevano come usurai tartassando la gente. I sacerdoti, per rispettare il primo comandamento, vietavano al popolo ebraico di maneggiare le monete romane che portavano l'immagine dell'imperatore. I pubblicani erano quindi accusati di essere peccatori perché veneravano l'imperatore. Gesù passò vicino a Levi e gli disse semplicemente Seguimi. E Matteo, alzatosi, lo seguì. Immediatamente Matteo tenne un banchetto a cui invitò, oltre a Gesù, un gran numero di pubblicani e altri pubblici peccatori. Il riferimento a un riscossore di imposte a Cafarnao, di nome Levi, compare anche in Luca 5,27.
Gesù lo scelse come membro del gruppo dei dodici apostoli e come tale appare nelle tre liste che hanno tramandato i tre vangeli sinottici: Matteo 10,3; Marco 3,18; Luca 6,15. Il suo nome appare anche in Atti 1,13, dove si menzionano gli apostoli che costituiscono la timorosa comunità sopravvissuta alla morte di Gesù.
Il nome Matteo, con il quale Levi è pure chiamato, vuol dire Dono di Dio. Alcuni suppongono che abbia cambiato il nome come una forma tipica dell'epoca, per indicare il cambiamento di vita (cf. Simone, poi Pietro, o Saulo, poi Paolo).
Secondo alcune tradizioni, Matteo sarebbe morto in Etiopia, secondo altre nella città oggi georgiana di Gonio dove sarebbe sepolto nell'antica fortezza romana. Il suo simbolo era un angelo o uomo alato che indicava l'umanità di Gesù.
Le sue reliquie sarebbero giunte a Velia, in Lucania, intorno al V secolo, dove rimasero sepolte per circa quattro secoli. Il corpo del Santo fu rinvenuto dal monaco Atanasio nei pressi di una fonte termale dell'antica città di Parmenide. Le spoglie furono portate dallo stesso Atanasio presso l'attuale chiesetta di San Matteo a Casal Velino. Il modesto edificio dalla semplice facciata a capanna presenta, alla destra dell'altare, l'arcosolio, dove secondo tradizione furono depositate le sacre reliquie del Santo. Un'iscrizione latina piuttosto tarda (XVIII sec.), incastonata sul lato corto dell'arcosolio, ricorda l'episodio della traslazione.
Ritrovate in epoca longobarda, furono portate il 6 maggio 954 a Salerno, dove sono attualmente conservate nella cripta della cattedrale.

venerdì 20 settembre 2013

Santo del giorno 20 Settembre

SANT'EUSTACHIO  PLACIDO
Visse a Roma ai tempi dell'imperatore Traiano. Prima di convertirsi al Cristianesimo era pagano ed il suo nome Placido: era solito dedicarsi alla beneficenza, ma anche alla persecuzione dei cristiani.
Secondo la Leggenda Aurea un giorno Placido stava inseguendo un cervo mentre andava a caccia, quando questo si fermò di fronte ad un burrone e si volse a lui mostrando tra le corna una croce luminosa sormontata dalla figura di Gesù che gli diceva: «Placido, perché mi perseguiti? Io sono Gesù che tu onori senza sapere». Dopo essersi ripreso dallo spavento, Placido rientrò a casa e narrò tutto alla moglie, la quale gli riferì di aver avuto quella notte una visione nella quale uno sconosciuto le preannunciava che l'indomani ella si sarebbe recata da lui con il marito. Placido, la moglie e i due figli si recarono l'indomani dal vescovo, si convertirono e si fecero battezzare. Placido ricevette il nome di Eustachio (dal greco Eustáchios, cioè "che dà buone spighe"), la moglie quello di Teopista (dai termini greci théos e pístos, cioè "credente in Dio"), ed i figli, uno Teopisto e l'altro Agapio (dal greco Agápios, cioè "colui che vive di carità")
Per ricordare il luogo dell'apparizione di Gesù a sant’Eustachio fu eretta una cappella, sulla sommità della rupe. Nel IV secolo l’imperatore Costantino inviò alla Mentorella, allora territorio del comune di Poli, il papa San Silvestro I a consacrare la chiesa in onore del santo martire.
La Leggenda Aurea narra che Eustachio, lasciato l'esercito romano, sia stato poi perseguitato dalla sorte, come Giobbe, perdendo prima tutti gli averi, poi la moglie ed infine i figli, ma che, come Giobbe, non abbia mai insultato la provvidenza e che quindi, dopo numerosi anni di separazione, la famiglia si sia miracolosamente riunita. Richiamato sotto le armi come generale dall'imperatore Traiano, riprese servizio e si comportò con valore combattendo contro i barbari. Invitato a Roma per ricevere i debiti onori, si seppe che era cristiano e l'imperatore Adriano lo fece arrestare e condannare a morte insieme alla moglie e ai figli. Fu con loro torturato e, salvatisi misteriosamente dalla fiere del Colosseo, morirono infine, tutti martiri, arroventati dentro un bue di bronzo.
Si tramanda che durante una guerra tra Franchi e Romani il santo abbia aiutato i toccolani a rifugiarsi nelle proprie case dove è situato l'attuale paese di Tocco da Casauria.
Secondo lo storico Henri Delahaye, Eustachio non sarebbe mai esistito: l'autore della prima stesura in lingua greca della Leggenda Aurea avrebbe attinto a leggende popolari del tempo e la vicenda famigliare ricalcherebbe una storia leggendaria indiana. A riprova della sua teoria il Delahaye cita l'assenza di menzioni sul santo fino al V secolo e il fatto che né il Deposito Martyrum né il Martirologio Gerominiano parlano di Eustachio.
In ricordo del Santo a Roma esiste un rione a lui dedicato situato alle spalle del Pantheon, sviluppatosi intorno a una delle chiese più antiche, divenuta nella prima metà del Novecento un importante centro spirituale sotto la guida del noto parroco romano don Pirro ScavizziIspiratosi al mito di Eustachio il poeta Gabriele D'Annunzio proprio a lui scrisse una famosa lettera per confessare un proprio desiderio di conversione «...anche io come il cervo porto la freccia conficcata nel fianco...».
Sant'Eustachio viene venerato in particolare modo nella città di Matera di cui è il santo patrono. La leggenda vuole che Matera, assediata daisaraceni, fosse stata salvata dall'intervento miracoloso di Eustachio e dei suoi famigliari in veste di cavalieri. La data della festa è il 20 settembre di ogni anno.

giovedì 19 settembre 2013

Santo del giorno 19 Settembre

SAN GENNARO
È il patrono principale di Napoli, nel cui Duomo sono custodite due ampolle contenenti una sostanza allo stato solido, che la tradizione afferma essere sangue del santo, e che fonde tre volte all'anno.
Il nome Gennaro è molto diffuso in Campania e risale al latino "Ianuarius" che significa "consacrato al dio Giano" ed era in genere attribuito ai bambini nati a gennaio (Ianuarius), mese sacro al dio.
In realtà, poiché san Gennaro appartenne alla gens Ianuaria, non era il suo nome, che secondo la tradizione era Procolo, ma il gentilizio corrispondente e cioè l'attuale cognome.
Convenzionalmente si crede che Gennaro sia nato verso l'anno 272. Sul luogo esistono molte tradizioni, di cui la prima lo vuole nato a Benevento, città di cui sarà vescovo, dove la pietà popolare individua a tutt'oggi la sua casa natale in dei ruderi romani siti nella via ad egli intitolata. In mancanza di prove certe è ovviamente impossibile risalire alla verità storica.
Gennaro era il vescovo di Benevento e si recò insieme al lettore Desiderio e al diacono Festo in visita ai fedeli a Pozzuoli. Il diacono di Miseno Sossio - già amico di Gennaro che lo era venuto a trovare in passato a Miseno per discutere di fede e leggi divine - volendo recarsi ad assistere alla visita pastorale, fu invece arrestato lungo la strada per ordine del persecutore Dragonzio, governatore della Campania. Gennaro insieme a Festo e Desiderio si recò allora in visita dal prigioniero, ma, avendo intercesso per la sua liberazione ed avendo fatto professione di fede cristiana, furono anch'essi arrestati e da Dragonzio condannati ad essere sbranati dai leoni nell'anfiteatro di Pozzuoli. Il giorno dopo, tuttavia, per l'assenza del governatore stesso, impegnato altrove o, secondo altri, perché si era accorto che il popolo dimostrava simpatia verso i condannati e quindi per evitare disordini, il supplizio fu sospeso. Secondo la tradizione invece, il supplizio fu mutato per l'avvenimento di un miracolo, infatti, le fiere si inginocchiarono al cospetto dei sette condannati, dopo una benedizione fatta da Gennaro.
Dragonzio comandò allora che a Gennaro e ai suoi compagni venisse troncata la testa. Condotti nei pressi del Forum Vulcani (l'attuale Solfatara di Pozzuoli), essi furono decapitati nell'anno 305. La stessa sorte toccò anche a Procolo, diacono della chiesa di Pozzuoli, e ai due laici Eutiche e Acuzio che avevano osato criticare la sentenza di morte per i quattro. Gli Atti affermano che nel luogo del supplizio sorse una chiesa in ricordo del loro martirio, mentre il corpo di Gennaro sarebbe stato sepolto nell'Agro Marciano e solo nel V secolo traslato dal duca-vescovo di Napoli Giovanni I nelle Catacombe di San Gennaro.
Negli Atti Vaticani si narrano molti altri episodi mitici. I più conosciuti narrano di Gennaro e dei suoi compagni che si sarebbero recati a Nola, dove avrebbero incontrato il perfido giudice Timoteo. Questi, avendo sorpreso Gennaro mentre faceva proselitismo, lo avrebbe imprigionato e torturato. Poiché le tremende torture inflittegli non sortivano effetto, lo avrebbe infine gettato in una fornace ardente; una volta riaperta la fornace, non solo Gennaro vi uscì illeso e senza che neppure le sue vesti fossero state minimamente intaccate dal fuoco, ma le fiamme investirono i pagani venuti ad assistere al supplizio. Caduto malato e nonostante fosse guarito da Gennaro, Timoteo non mostrò alcuna gratitudine ma lo fece condurre all'anfiteatro di Pozzuoli affinché fosse sbranato dalle fiere. Per questi racconti è chiara la derivazione dalla Bibbia, in modo particolare dal Libro del profeta Daniele, a cui il redattore degli Atti Vaticani deve essersi ispirato.
Durante il cammino verso il luogo dell'esecuzione, situato presso la Solfatara, un mendicante chiese a Gennaro un lembo della sua veste, da conservare come reliquia. Gennaro rispose che, una volta eseguita la sentenza, avrebbe potuto prendere il fazzoletto con cui sarebbe stato bendato.
La tradizione vuole che, mentre il carnefice si preparava a vibrare il colpo mortale, Gennaro si fosse portato un dito alla gola per sistemarsi il fazzoletto. In quell'istante il carnefice calò la scure, recidendo anche il dito. Quella notte, Gennaro apparve in sogno a colui che era incaricato di portare via il corpo, invitandolo a raccogliere anche il dito.
Sempre secondo la tradizione, subito dopo la decapitazione sarebbe stato conservato del sangue, come era abitudine a quel tempo, raccolto da una pia donna di nome Eusebia che lo racchiuse in due ampolle; esse sono divenute un attributo iconografico tipico di san Gennaro. Il racconto della pia donna è tuttavia recente, e compare pubblicato per la prima volta solo nel 1579, nel volume del canonico napoletano Paolo Regio su "Le vite de' sette Santi Protettori di Napoli".
I vari ed interessanti testi agiografici (inni, carmi e lodi) in onore di san Gennaro e dei suoi compagni martiri si possono consultare nella Bibliotheca Sanctorum edita dalla Pontificia Università Lateranense nel 1965.
Documenti liturgici molto antichi, come il calendario cartaginese (redatto poco dopo il 505) ed il Martirologio Geronimiano del V secolo assegnano come data del martirio di Gennaro e dei suoi compagni il 19 settembre; indicano invece nel 13 aprile la data della prima traslazione dei resti del santo. Anche in un altro martirologio risalente all'VIII secolo, redatto dal monaco inglese Beda, il 19 settembre viene indicato come data del martirio.
Nel calendario marmoreo di Napoli la data del 19 settembre viene indicata come "dies natalis" di San Gennaro.
Tutte queste fonti, e numerose altre ancora, attestano che la venerazione per San Gennaro ha origini antichissime che risalgono all'epoca del suo martirio o al più tardi a quella della prima traslazione delle sue spoglie, avvenuta nel V secolo.
Il duca e vescovo di Napoli Giovanni I trasportò fra il 413 e il 431 le reliquie del santo dall'Agro Marciano nella parte inferiore delle catacombe napoletane di Capodimonte, le quali assunsero così il nome del santo, e qui esse furono centro di vivissimo culto.
Il principe longobardo di Benevento Sicone I, assediando la città di Napoli nel 831, ne approfittò per impossessarsi dei resti mortali che, da lì portò nella sua città, sede episcopale. Le sante reliquie furono deposte nella cattedrale - che allora si chiamava Santa Maria di Gerusalemme - ove restarono fino al 1154. In quell'anno infatti, considerando che la città di Benevento non era più sicura, il normanno Guglielmo I il Malo provvide affinché esse venissero traslate nell'Abbazia di Montevergine.
A Montevergine però la devozione dei pellegrini che vi si recavano era rivolta soprattutto a San Guglielmo e alla popolarissima icona bizantina della Madonna chiamata "Mamma Schiavona", sicché di San Gennaro si perse ben presto la memoria e addirittura la cognizione del suo luogo di sepoltura. A Napoli invece rimaneva vivissimo il culto per San Gennaro, anche per la presenza delle altre sue reliquie: il capo e le ampolle con il suo sangue.
Carlo II d'Angiò dopo aver fatto eseguire dai maestri orafi francesi Stefano Godefroy, Guglielmo di Verdelay e Milet d'Auxerre un preziosissimo busto-reliquiario in argento dorato per contenere la testa e le ampolle con il sangue del santo, espose per la prima volta la reliquia alla pubblica venerazione nel 1305. Suo figlio Roberto d'Angiò invece fece realizzare la teca d'argento che custodisce le due ampolle del sangue. Tuttavia la liquefazione del sangue non è attestata prima del 17 agosto 1389, allorché il miracolo si compì durante una solenne processione intrapresa per una grave carestia.
Quando a Montevergine per merito del cardinale Giovanni di Aragona furono ritrovate le ossa di San Gennaro, collocate al di sotto dell'altare maggiore, la potente famiglia dei Carafa si impegnò, grazie soprattutto all'interessamento del cardinale Oliviero e con il sostegno di suo fratello l'arcivescovo napoletano Alessandro Carafa, affinché le reliquie tornassero a Napoli, la qual cosa avvenne nel 1497, non senza l'opposizione da parte dei monaci di Montevergine. Come degno luogo per ospitarle, il cardinale Oliviero Carafa fece costruire nel Duomo di Napoli, al di sotto dell'altare maggiore, una cripta d'eccezione in puro stile rinascimentale: la Cappella del Succorpo.
A seguito di una terribile pestilenza che imperversò a Napoli fra il 1526 ed il 1529, i napoletani fecero voto a San Gennaro di edificargli una nuova cappella all'interno del Duomo. Benché i lavori fossero iniziati solo nel 1608 e siano durati quasi quarant'anni, la sfolgorante e ricca Cappella del Tesoro di San Gennaro venne infine consacrata nel 1646. Al di sopra del suo splendido cancello realizzato da Cosimo Fanzago, figura l'iscrizione Divo Ianuario e fame bello peste ac Vesaevi igne miri ope sanguinis erepta Neapolis civi patr. vindici ("A San Gennaro, al cittadino salvatore della patria, Napoli salvata dalla fame, dalla guerra, dalla peste e dal fuoco del Vesuvio, per virtù del suo sangue miracoloso, consacra"). Nel 1633 la città di Napoli, sulla cappella del tesoro, nel suo Duomo scolpiva la sua riconoscenza con la seguente dedica: Divo Jannuario - Patriae, regnique praesentissimo tutelari - grata Neapolis.
Secondo la tradizione, il sangue di san Gennaro si sarebbe sciolto per la prima volta ai tempi di Costantino I, quando il vescovo Severo (secondo altri il vescovo Cosimo) trasferì le spoglie del santo dall'Agro Marciano, dove era stato sepolto, a Napoli. Durante il tragitto avrebbe incontrato la nutrice Eusebia con le ampolline del sangue del santo: alla presenza della testa, il sangue nelle ampolle si sarebbe sciolto.
Storicamente, la prima notizia documentata dell'ampolla contenente la presunta reliquia del sangue di San Gennaro risale soltanto al 1389, come riportato nel Chronicon Siculum (ma dal testo si può dedurre che doveva avvenire già da molto tempo): nel corso delle manifestazioni per la festa dell'Assunta di quell'anno, vi fu l'esposizione pubblica delle ampolle contenenti il cosiddetto "sangue di San Gennaro". Il 17 agosto 1389 vi fu una grandissima processione per assistere al miracolo: il liquido conservato nell'ampolla si era liquefatto "come se fosse sgorgato quel giorno stesso dal corpo del santo". La cronaca dell'evento sembra suggerire che il fenomeno si verificasse allora per la prima volta. Del resto, la Cronaca di Partenope, precedente di qualche anno (1382), pur parlando di diversi "miraculi" attribuiti alla potenza di San Gennaro, non menziona mai una reliquia di sangue del martire.
Oggi le due ampolle, fissate all'interno di una piccola teca rotonda realizzata con una larga cornice in argento e provvista di un manico, sono conservate nella cassaforte dietro l'altare della Cappella del Tesoro di San Gennaro. Delle due ampolle, una è riempita per 3/4, mentre l'altra più alta è semivuota poiché parte del suo contenuto fu sottratto da re Carlo III di Borbone che lo portò con sé in Spagna. Tre volte l'anno (il sabato precedente la prima domenica di maggio e negli otto giorni successivi; il 19 settembre e per tutta l'ottava delle celebrazioni in onore del patrono, ed il 16 dicembre), durante una solenne cerimonia religiosa guidata dall'arcivescovo, i fedeli accorrono per assistere al miracolo della liquefazione del sangue di San Gennaro. La liquefazione del tessuto durante la cerimonia è ritenuto foriero di buoni auspici per la città; al contrario, si ritiene che la mancata liquefazione sia presagio di eventi fortemente negativi e drammatici per la città.
Un analogo fenomeno, anch'esso ritenuto miracoloso, si suppone che avvenga anche a Pozzuoli, dove, nella chiesa di San Gennaro presso la Solfatara, su di una lastra marmorea su cui si afferma che Gennaro fosse stato decapitato e che sia impregnata del suo sangue, ancora oggi c'è chi sostiene che delle tracce rosse diventino di colore più intenso e trasuderebbero in concomitanza con il miracolo più importante che avviene a Napoli.
Secondo studi recenti però sembra che la pietra sia in realtà il frammento di un altare paleocristiano di due secoli posteriore alla morte del martire sul quale vi siano depositate tracce di vernice rossa e di cera e che il tutto sia solo frutto di una suggestione collettiva.

mercoledì 18 settembre 2013

Santo del giorno 18 Settembre

I Sinassari bizantini e i Menei commemorano al 17 o 18 settembre le due sante donne Sofia e Irene senza alcuna precisazione su di esse, sull'epoca e il luogo in cui vissero. Essendo la loro memoria direttamente collegata alla precedente, che commemora i "martiri" Eraclide e Mirone vescovi di Tamasos di Cipro, si può legittimamente concludere che, nello spirito dei sinassaristi, Sofia e Irene erano considerate anch'esse come martiri. Cosa, peraltro, che risulta dall'annuncio e dal distico con cui le annunciano i Menei. Nel distico, poi, si fa allusione alla loro decapitazione.
In Occidente, C. Baronio fu il primo ad introdurre il culto di Sofia e Irene con la qualifica di martiri, nel Martirologio Romano, al 18 settembre.
I Bollandisti, nel commento al Martirologio Romano, fanno notare che a Costantinopoli, nella chiesa di Santa Sofia, era annessa, come una delle dipendenze, la chiesa di S. Irene.
Non è inutile sottolineare anche che, sempre al 17 settembre, nei Sinassari bizantini sono commemorate s. Sofia e le sue figlie, Fede, Speranza e Carità.

martedì 17 settembre 2013

Santo del giorno 17 Settembre

SAN ROBERTO BELLARMINO
Terzogenito di cinque figli, nacque in una famiglia di Montepulciano di nobili origini, sia per parte paterna che materna, ma in via di declino economico. Suo padre, Vincenzo Bellarmino, fu gonfaloniere di Montepulciano, e sua madre, Cinzia Cervini, molto pia e religiosa, era sorella di papa Marcello II. Fu battezzato dal cardinale fiorentino Roberto Pucci al quale probabilmente deve l'onore del suo primo nome, mentre il secondo è in riferimento a Francesco d'Assisi, il santo onorato il 4 ottobre giorno della sua nascita; Romolo fu dato in onore di un antenato della famiglia.
Fin da piccolo ebbe una salute precaria e una forte inclinazione per la Chiesa. Dopo una iniziale educazione in famiglia, vista l'inclinazione religiosa, fu inviato per gli studi presso i padri gesuiti da poco arrivati anche a Montepulciano, dei quali sua madre aveva grande stima. All'età di sedici anni espresse l'intenzione di entrare nell'ordine gesuita, ma suo padre preferiva inviarlo a Padova per indirizzarlo al clero secolare convinto che le ottime doti del figlio, gli avrebbero permesso di fare una buona carriera ecclesiastica con miglioramento economico della intera famiglia. Roberto perdurò nel suo intento di farsi gesuita e si consolò sapendo che anche un suo cugino di Padova Ricciardo Cervini era desideroso di entrare nel nuovo ordine religioso. Suo padre alla fine concesse il permesso. A diciotto anni entrò con il cugino presso il Collegio romano il 20 settembre 1560 e il giorno dopo fecero la loro prima professione religiosa. Suo cugino Ricciardo Cervini morì solo quattro anni dopo il loro ingresso in noviziato.
Nonostante la sua parentela con un pontefice, fu riconosciuta la sua umiltà e il suo impegno negli studi e si affermò che la sua vita si confaceva ad uno dei suoi libri spirituali più seguiti, l'Imitazione di Cristo.
Fin da giovanissimo mostrò doti letterarie ed ispirandosi agli autori latini come Virgilio, compose diversi piccoli poemi sia in lingua volgare che in lingua latina. Uno dei suoi inni, dedicato alla figura di Maria Maddalena, fu inserito poi per l'uso nel breviario.
Studiò nel Collegio romano dal 1560 al 1563, e fu condiscepolo di Cristoforo Clavio. Iniziò successivamente ad insegnare materie umanistiche sempre in scuole del suo ordine religioso, prima a Firenze e poi a Mondovì; in questa cittadina piemontese, si distinse come predicatore, nonostante non fosse ancora ordinato sacerdote, e si applicò allo studio del greco.
Nel 1567 iniziò a studiare in modo sistematico teologia a Padova, dove approfondì in particolare l'opera di san Tommaso d'Aquino. Dopo aver visitato Genova per un incontro di gesuiti, avendo dimostrato ottime qualità di predicatore, fu inviato nel 1569 da Francesco Borgia, preposito generale dell'ordine dei gesuiti, a Lovanio nelle Fiandre, allora facente parte dei Paesi Bassi spagnoli; qui aveva sede una delle migliori università cattoliche e il giovane Bellarmino vi completò gli studi teologici, trovando inoltre l'ambiente adatto per acquisire una notevole conoscenza sulle eresie più importanti del suo tempo.
Dopo l’ordinazione sacerdotale avvenuta a Gand il 25 marzo del 1570, domenica delle palme, guadagnò notorietà sia come insegnante sia come predicatore; in quest’ultima veste era capace di attirare al suo pulpito sia cattolici che protestanti[1], persino da altre aree geografiche.
Gli fu conferito l'insegnamento della teologia a Lovanio nel 1570, e qui rimase per sei anni, fino al 1576, distinguendosi per l'eloquenza e per la capacità di controbattere le tesi calviniste, che si diffondevano ampiamente nei Paesi Bassi spagnoli, Venne quindi richiamato a Roma da papa Gregorio XIII che gli affidò la cattedra di "controversie" (apologetica), da poco istituita nel Collegio romano, attività che svolse fino al 1587. Da poco tempo si era concluso il concilio di Trento e la Chiesa cattolica, attaccata dalla Riforma protestante aveva necessità di rinsaldare e confermare la propria identità culturale e spirituale. L'attività e le opere di Roberto Bellarmino si inserirono proprio in questo contesto storico della Controriforma.
Gli studi che intraprese per applicarsi nell'insegnamento e nelle lezioni, confluirono successivamente nell'opera di più volumi Le controversie (Disputationes de controversiis christianae fidei adversus hujus temporis haereticos), che rappresenta il primo tentativo di sistematizzare le varie controversie teologiche dell'epoca, ed ebbe risonanza in tutta Europa. Nello scritto Bellarmino esponeva in modo chiaro le posizioni della Chiesa cattolica senza polemica nei confronti della Riforma, ma solo usando gli argomenti della ragione e della tradizione. Presso le chiese protestanti in Germania ed in Inghilterra furono istituite specifiche cattedre d'insegnamento per tentare di fornire una replica razionale agli argomenti dell'ortodossia cattolica difesi da Bellarmino. L'opera è ritenuta la più completa nel campo apologetico, anche se l’avanzamento degli studi critici ha diminuito il valore di alcuni degli argomenti storici. La sua azione a difesa della fede cattolica, gli valse l'appellativo di "martello degli eretici".
Nel 1592 Bellarmino divenne rettore del Collegio romano, incarico che svolse per circa due anni fino al 1594. Nel 1595 divenne preposito dell'ordine gesuita per la provincia di Napoli.
Nel 1597 papa Clemente VIII lo richiamò a Roma, dopo la morte nel settembre 1596 del suo consultore teologo pontificio, il cardinale gesuita Francisco de Toledo Herrera. Bellarmino fu allora nominato consultore teologo, oltre che "esaminatore per la nomina dei vescovi" , "consultore del Sant'Uffizio" e teologo della sacra penitenzieria. Sempre nel 1597 dopo la morte senza eredi del duca Alfonso II d'Este, lo Stato della Chiesa rientrò in possesso dei territori del ducato di Ferrara e Bellarmino accompagnò il papa in visita nel nuovo territorio.
Nel concistoro del 3 marzo 1599 il papa lo fece cardinale presbitero e il 17 marzo gli consegnò la berretta rossa con il titolo di Santa Maria in Via, indicando la motivazione di questa nomina con le parole: La Chiesa di Dio non ha un soggetto di pari valore nell'ambito della scienza. Si racconta che Bellarmino tentò in tutti i modi di far cambiare idea al papa, non volendo ricevere questa carica, ma il pontefice alla fine glielo impose con la superiore autorità. Negli anni successivi Bellarmino fu bonariamente descritto come "il gesuita vestito di rosso", in relazione all'abito cardinalizio che contrastava con la tonaca nera dei gesuiti. Nonostante questa nomina, egli non cambiò il suo austero e sobrio stile di vita, e tutte le sue rendite e gli introiti economici conseguenti alla sua nomina e alle sue attività furono massimamente devolute per i poveri.
Il papa lo nominò il 18 marzo 1602 arcivescovo metropolita di Capua, sede resasi proprio allora vacante. Clemente stesso volle consacrarlo con le sue mani, un onore che abitualmente i papi concedono come segno di stima speciale. Durante il suo ministero episcopale a Capua si distinse per santità e dottrina. Appena arrivato in diocesi volle conoscere le famiglie più povere che visitava e sosteneva regolarmente. Celebrò diversi sinodi diocesani suscitando una nuova ondata di cristianesimo già molto presente in quella terra della Campania che ha conosciuto in età apostolica l'annuncio del Vangelo. A lui si deve la fondazione del seminario di Capua, uno dei primi dopo la riforma tridentina. Visitava molto spesso le parrocchie e per i parroci scrisse un catechismo che fosse loro di aiuto per la catechesi e la predicazione. Roberto Bellarmino "era amato dal popolo e lui, da parte sua amava il popolo". La Chiesa di Capua entrò nel suo cuore e non la dimenticò più. Quando fu richiamato a Roma non fu facile per lui lasciare questa gloriosa arcidiocesi alla quale per tre anni si era dedicato con tutte le sue energie, tanto che ebbe a dire: " La mia patria è Capua, la mia casa la sua cattedrale, la mia famiglia il suo popolo". Il cardinale Bellarmino ricorderà per sempre la comunità che ha guidato come successore degli Apostoli e per la quale fu consacrato vescovo. Persino prima poco di morire dirà che a Capua avrebbe fatto ancora molto più bene rispetto a ciò che aveva realizzato a Roma. Il suo spessore umano, culturale e teologico ancora oggi fanno di Capua una arcidiocesi ricca di cultura. A lui l'arcivescovo Luigi Diligenza ha dedicato l'Istituto Superiore di Scienze religiose, scuola di teologia per i fedeli di Capua e di alcune diocesi limitrofe. Per volontà dell'arcivescovo Bruno Schettino, in suo onore il 17 settembre la comunità diocesana si riunisce in Cattedrale per dare inizio all'anno pastorale ed affidare la vita dell'arcidiocesi alla protezione del suo santo pastore San Roberto Bellarmino.
Nel marzo del 1605 Clemente VIII morì e gli succedettero prima Leone XI, che regnò per solo ventisei giorni, e poi Paolo V. Nel primo e nel secondo conclave, ma soprattutto in quest'ultimo, il nome di Roberto Bellarmino fu spesso dinanzi alle intenzioni degli elettori, specialmente a motivo delle afflizioni subite, ma il fatto che fosse un gesuita costituì un impedimento secondo il giudizio di molti cardinali. Racconta Ludwig Von Pastor, storico vaticanista, che nei primi giorni del secondo conclave del 1605 un gruppo di cardinali tra i quali Baronio, Sfondrati, Aquaviva, Farnese, Sforza e Piatti, si adoperarono per far eleggere il cardinale gesuita Bellarmino, ma che questi fosse contrario, tanto che saputo della sua candidatura rispose che avrebbe volentieri rinunciato anche al titolo cardinalizio. Il suo appoggio durante il conclave sembra fosse rivolto verso il cardinal Baronio.
Il nuovo papa Paolo V, eletto con l'accordo delle maggiori potenze cattoliche, insistette nel tenerlo con sé a Roma, e il cardinale chiese di essere dunque esonerato dal ministero episcopale. Fu nominato membro del Sant'Uffizio e di altre congregazioni, e successivamente consigliere principale della Santa Sede nel settore teologico della sua amministrazione.
Un episodio importante lo vide protagonista il 29 maggio 1608 durante un Concistoro presieduto dal Papa Paolo V in onore di Francesca Bussi dei Ponziani la famosa Santa Francesca Romana, dove Roberto Bellarmino espose un elogio alla religiosa che convinse la maggior parte dei partecipanti a chiudere definitivamente il processo di beatificazione che era giunto ad una fase di stallo da quasi due secoli. Fu la prima donna beatificata dopo Santa Caterina da Siena nel 1461.
Il cardinale Bellarmino fu nominato Camerlengo del Sacro Collegio dal 9 gennaio 1617 all'8 gennaio 1618; successivamente fu Prefetto della Sacra Congregazione dei Riti e poi della Sacra Congregazione dell'Indice.
Egli visse ancora per assistere ad un altro conclave, quello che elesse Gregorio XV nel febbraio 1621. La sua salute stava rapidamente declinando e nell’estate dello stesso anno gli fu permesso di ritirarsi a Sant’Andrea al Quirinale, sede del noviziato dei gesuiti, per prepararsi al trapasso. Qui spirò il 17 settembre 1621 tra le ore 6 e le 7 del mattino. Alla sua morte il suo corpo fu deposto nella cripta della casa professa, la Chiesa del Gesù a Roma e dopo circa un anno fu posto nel sepolcro che aveva ospitato il corpo di Sant'Ignazio di Loyola. Di lui disse Francesco di Sales che era "fontana inesauribile di dottrina". È il Patrono, insieme a Santo Stefano Protomartire, dell'Arcidiocesi di Capua.

lunedì 16 settembre 2013

Santo del giorno 16 Settembre

PAPA CORNELIO
Papa Cornelio fu il ventunesimo papa della Chiesa cattolica, che lo venera come santo. Fu papa dal marzo 251 alla sua morte.
Nacque probabilmente verso il 180. Secondo il "Catalogo Liberiano" dei papi, Cornelio regnò due anni, tre mesi e dieci giorni. Tale fonte, per questo tipo di dati, è degna di fede in virtù degli studi effettuati da Giusto Lipsio, Joseph Barber Lightfoot e Adolf von Harnack.
Il suo predecessore, Fabiano, fu messo a morte dall'imperatore Decio il 20 gennaio 250, ma si dovette aspettare il successivo mese di marzo quando, grazie all'assenza dell'imperatore, l'intensità della persecuzione diminuì.[1] Per la scelta del nuovo papa sorsero immediatamente due correnti di pensiero contrastanti sulla questione dei lapsi:[2] coloro che erano rimasti saldi nella fede si divisero fra indulgenti e rigoristi verso coloro che, per paura della persecuzione, avevano ceduto ed ora sarebbero voluti tornare in seno alla Chiesa. Infine, a 14 mesi dal martirio di Fabiano, i 16 vescovi convenuti a Roma elessero Cornelio, un alto esponente dell'aristocrazia romana, contro la sua volontà, ma in base "al giudizio di Dio e di Cristo, alla testimonianza di pressoché tutto il clero, al voto delle persone ivi convenute, al beneplacito dei presbiteri anziani e degli uomini di buona volontà, in un tempo in cui nessuno lo aveva preceduto, quando la sede di Fabiano che è la sede di Pietro, ed il soglio erano vacanti" (san Cipriano, Epistole IV, 24).
Il lungo periodo di vacanza della sede pontificia fu caratterizzato da varie polemiche, tra cui quella che investì seriamente il vescovo di Cartagine san Cipriano, che alcuni (guidati dal presbitero Novato) consideravano un traditore perché era fuggito da Cartagine durante la persecuzione dell'imperatore Decio. Novato trovò un alleato nel presbitero Novaziano, un prete di dubbia moralità[3] che approfittò del momentaneo sbandamento della comunità romana per guadagnare alla sua causa i cristiani più incerti e, soprattutto, per porre la sua candidatura al pontificato.
L'elezione, a grandissima maggioranza, di Cornelio fu un colpo per Novaziano, che spedì due del suo partito a chiamare tre vescovi (conosciuti come personaggi piuttosto sprovveduti) da altrettanti angoli remoti d'Italia. Fece dire loro di venire a Roma velocemente poiché, insieme ad altri vescovi, avrebbero dovuto mediare su una divisione interna. Questi uomini semplici furono costretti a conferire l'ordine episcopale su di lui alla decima ora del giorno. Uno di questi, però, ritornò alla chiesa confessando il suo peccato, "e noi inviammo" dice Cornelio, "i sostituti per gli altri due vescovi nei luoghi da cui provenivano". Per assicurarsi la lealtà dei suoi sostenitori Novaziano li costrinse, all'atto di ricevere la santa Comunione, a giurare sul Sangue e sul Corpo di Cristo che non sarebbero tornati da Cornelio.
Cornelio era un fautore dell'indulgenza nei confronti dei lapsi, ma Novaziano, che era un rigorista e la pensava in modo opposto, contestò l'elezione del nuovo papa. Era infatti convinto che Cornelio fosse un debole e sosteneva che nemmeno i vescovi potevano garantire la remissione di peccati gravi come omicidio, adulterio, e apostasia, ma che questi potevano essere rimessi soltanto nel Giudizio Finale.
Alcune settimane più tardi Novaziano si autoproclamò papa[4] e l'intero mondo cristiano fu agitato da questo scisma che sarebbe durato fino al V secolo. Tuttavia l'appoggio di san Cipriano assicurò a Cornelio i cento vescovi d'Africa, e l'influenza di Dionisio, vescovo di Alessandria d'Egitto, portò anche i vescovi orientali dalla sua parte; in Italia il papa riuscì a mettere insieme un sinodo di 60 vescovi, mentre Fabio, vescovo di Antiochia di Siria, rimase indeciso. Cornelio gli scrisse tre lettere, delle quali Eusebio di Cesarea riportò alcuni estratti (Storia ecclesiastica, VI.43) in cui il papa elencava i difetti nell'elezione di Novaziano e ne parlava con estrema amarezza. Da questi estratti si evince che, in quel periodo, la chiesa di Roma era formata da 46 presbiteri, 7 diaconi, 7 suddiaconi, 42 accoliti, 52 tra esorcisti, lettori e ostiari e 1500 tra vedove e persone bisognose. Grazie a questi dati Burnet e Edward Gibbon valutarono che il numero dei cristiani a Roma si aggirasse intorno alle 50.000 unità; ma secondo Benson e Harnack questo numero era troppo elevato.
Il sinodo condannò Novaziano e il suo scisma.
Degli scritti di Cornelio sono giunte fino a noi 2 lettere a Cipriano e nove risposte da Cipriano al papa. Monsignor Giovanni Mercati dimostrò che il testo originale delle lettere di Cornelio è nel "latino volgare" colloquiale che si usava all'epoca, e non nello stile più classico usato dall'ex oratore Cipriano e dal dotto filosofo Novaziano.[5]
Dopo la sua elezione, Cornelio sanzionò le miti misure suggerite da san Cipriano ed accettò la proposta del concilio di Cartagine del 251 di riabbracciare nella comunione, dopo la giusta penitenza, coloro che si erano persi durante la persecuzione di Decio.
Secondo le fonti cristiane, alla morte dell'imperatore Decio nel 252, il suo successore Gaio Vibio Treboniano Gallo avrebbe iniziato una nuova persecuzione contro i cristiani: la ragione sarebbe stata l'accusa di essere portatori della pestilenza che colpì Roma nel 251/252. In realtà pare che l'unico atto di Gallo sia stato proprio l'arresto e incarcerazione di Cornelio,[6] che fu portato a Centumcellae (l'odierna Civitavecchia), dove morì nel giugno del 253. Cipriano afferma ripetutamente che Cornelio fu martirizzato; il Catalogo Liberiano riporta «ibi cum gloria dormicionem accepit», e questo può significare che morì a causa dei rigori a cui fu sottoposto durante la sua deportazione, sebbene documenti successivi affermino che fu decapitato.
San Girolamo riporta che Cornelio e Cipriano patirono il martirio nello stesso giorno di anni diversi, e la sua affermazione è stata generalmente accettata. Infatti, secondo la Depositio martyrum del IV secolo, il «XVIII kl octob Cypriani Africae Romae celebratur in Callisti»; la festa di san Cipriano veniva cioè celebrata a Roma, presso la tomba di Cornelio nelle catacombe di San Callisto, dove il suo corpo fu traslato nel 283. Non fu però sepolto nella cappella dei papi, ma in una catacomba adiacente, forse in quella di un ramo della famiglia dei Cornelii. L'iscrizione posta sulla sua tomba è in latino - CORNELIUS * MARTYR* - mentre quelle di papa Fabiano e papa Lucio I sono in greco.
Le sue reliquie furono poi trasferite in una basilica voluta da papa Leone I e quindi papa Adriano I le portò nella domus culta di Capracoro (presso l'area di Montegelato, a Mazzano Romano), dove il pontefice aveva la casa paterna. Al tempo di papa Gregorio IV il suo corpo riposava nella basilica di Santa Maria in Trastevere. In quel tempo parte delle reliquie furono portate a Compiègne, in Francia, mentre nella seconda metà del XVIII secolo altre parti del suo corpo furono traslate nella chiesa dei Santi Celso e Giuliano.

venerdì 13 settembre 2013

Santo del giorno 13 Settembre

SAN MAURILIO DI ANGERS
Il vescovo dissodatore e giardiniere, che lavora di zappa. Così appare raffigurato, in arazzi francesi del XV secolo, san Maurilio di Angers, venerato anche come patrono dei giardinieri e dei pescatori. Ci è giunta di lui una biografia scritta verso il 620, e poi ampliata nel X secolo, ma purtroppo di scarsa attendibilità, anche per evidenti errori in alcune date che lo riguardano. (Per esempio, vi si dice che fu consacrato vescovo dal grande Martino di Tours nell’anno 423, mentre è noto che Martino morì nel 397).
Il Maurilio autentico risulta nato a Milano nella seconda metà del IV secolo. Più tardi lo troviamo in Francia, dove è stato attirato dalla fama del vescovo più illustre del tempo, appunto Martino di Tours. Questa è l’epoca in cui tutto il territorio della vecchia Gallia conosce ancora ben poco il Vangelo. E’ vero che già ci sono vescovi famosi in molte città, ma all’epoca il cristianesimo è innanzitutto fenomeno cittadino, mentre le campagne sono cristianizzate solo in piccola parte.
Perciò Maurilio, appena ordinato sacerdote viene mandato nelle campagne ad annunciare il Vangelo. La scelta è molto ampia, e lui decide di operare nel territorio dell’attuale Châlons-sur-Marne. Qui gradualmente attira l’attenzione con la sua vita di preghiera, col suo comportamento di amico sempre pronto all’aiuto: stile apostolico, insomma. Su queste prime basi gli è poi possibile intraprendere un’attività continua di predicatore.
E certamente deve avere successo, perché nell’anno 423 arriva da Angers una delegazione di cristiani che vogliono Maurilio come loro vescovo. E lui allora raggiunge questa città, riceve la consacrazione episcopale e dà inizio al suo ministero, che durerà una trentina d’anni. Si parla anche di miracoli avvenuti nella zona per sua intercessione, ma non ci sono riscontri persuasivi a questi racconti. Il riscontro vero, invece, è la persistenza tenace del ricordo e della venerazione per lui, attraverso il succedersi delle generazioni.
Il fatto che san Maurilio venga presentato anche in veste di zappatore si collega a una narrazione leggendaria, secondo la quale egli si sarebbe “autopunito”, trasformandosi in giardiniere del re d’Inghilterra, per aver tardato a battezzare un bambino, che morì (e che poi sarebbe stato richiamato in vita). Ma questo soggiorno in terra inglese non è testimoniato da fonti sicure.
Il vescovo Maurilio muore ad Angers e viene seppellito in una chiesa originariamente dedicata alla Vergine Maria, e che da quel momento si intitola al suo nome. Nel 1239 i resti sono collocati in una nuova urna, ma poi andranno dispersi nel 1791, quando la chiesa verrà demolita. Se ne ritrovarono solo piccole parti, ora custodite nella cattedrale di Angers, di cui il santo è patrono.

giovedì 12 settembre 2013

SANTISSIMO NOME DI MARIA
La devozione al nome di Maria, presto arricchita dai pontefici di particolari indulgenze, risale alla metà del XII secolo. La festa venne istituita nel 1513 da papa Giulio II, che la concesse alla sola diocesi spagnola di Cuenca: inizialmente celebrata il 15 settembre, spostata da papa Sisto V al 17 dello stesso mese (1587), la celebrazione della festa venne estesa da papa Gregorio XV all'arcidiocesi di Toledo (1622) e da papa Clemente X all'intera Spagna (1671).
La sua introduzione venne promossa da papa Innocenzo XI Odescalchi che, con decreto del 5 febbraio del 1685, ne estese la celebrazione a tutta la Chiesa.
Doveva servire a commemorare la messa celebrata a Vienna il 12 settembre del 1683 per suggellare l'alleanza fra l'imperatore Leopoldo I d'Austria e il re di Polonia Giovanni III Sobieski: quel giorno, i due sovrani cattolici diedero il via alla controffensiva che portò alla liberazione della capitale austriaca dall'assedio dei Turchi (12 settembre 1683).
La festività ha quindi origini simili a quelle della Trasfigurazione, istituita da papa Callisto III in ricordo della liberazione di Belgrado (6 agosto 1455), e della Madonna del Rosario, voluta da papa Pio V per commemorare la vittoria di Lepanto (7 ottobre 1571).

mercoledì 11 settembre 2013

Santo del giorno 11 Settembre

SAN DIOMEDE
Il Martirologio Romano fa menzione all'11 settembre dei santi Diodoro, Diomede e Didimo, il cui martirio sarebbe avvenuto a Laodicea di Siria. Il Baronio ha introdotto questa commemorazione da fonti bizantine: infatti, diversi sinassari o menologi bizantini commemorano Diodoro e Didimo sia l'11 (o 10) settembre, sia il 9 ottobre.
Secondo il Menologio di Basilio ed un cod. della Biblioteca Ambrosiana Diodoro e Didimo erano due cristiani di Laodicea molto zelanti e operavano numerose conversioni. Denunziati da certi greci pagani furono trasferiti al tribunale del governatore di Laodicea. Con fermezza e coraggio confessarono Cristo e rifiutarono di rendere culto agli idoli. Furono condannati a morte e, pur in mezzo ai tormenti, non smisero di ringraziare il Signore, e così compirono il loro martirio.
Quanto a Diomede non viene menzionato che in un solo cod. e non si può dir nulla di lui.
Il Martirologio Siriaco del IV sec. ricorda al 9 ottobre (uno dei giorni dei sinassari bizantini) a Laodicea, Heraclion e Diodoro sacerdote e martire. Non risulta dalle fonti greche che Diodoro sia stato sacerdote, ma non è da escludersi, dato il suo ministero che si svolgeva tra la predicazione e l'amministrazione del Battesimo. Si può dunque pensare che si tratti dello stesso personaggio.
A sua volta il Martirologio Geronimiano menziona Diodoro sempre il 9 ottobre ma lo colloca a Laodicea di Frigia, mentre ricorda un Heracleion il giorno precedente. Che Laodicea di Siria sia un'invenzione del Baronio non è possibile, perché la fonte greca, riassunta precedentemente, offre già questa precisazione. Non è però possibile dire quale delle tradizioni, quella dei sinassari o quella del Geronimiano, meriti di essere considerata migliore.

martedì 10 settembre 2013

Santo del giorno 10 Settembre

NICOLA DA TOLENTINO
Nacque nel 1245 a Sant'Angelo in Pontano (vicino Macerata). I suoi genitori, i cui nomi potrebbero essere Compagnone de Guarutti e Amata de Guidiani (ma i cognomi potrebbero semplicemente indicare i loro luoghi di nascita e forse la famiglia era quella dei Compagnoni), erano gente pia. La leggenda della sua vita rappresentata da un ignoto pittore giottesco detto Maestro della Cappella di San Nicola, narra come i suoi genitori, ormai anziani, si fossero recati a Bari su consiglio di un angelo in pellegrinaggio alla tomba di san Nicola di Bari, per avere la grazia di un figlio. Ritornati a Sant'Angelo ebbero il figlio desiderato e, ritenendo di aver ricevuto la grazia richiesta, lo chiamarono Nicola.
Il giovane Nicola entrò nell'Ordine degli Eremitani di Sant'Agostino. Si distinse a tal punto nei suoi studi che, prima che essi fossero compiuti, venne fatto canonico della chiesa di San Salvatore. Ascoltando una predica di un eremita agostiniano sulla frase latina Nolite diligere mundum, nec ea quae sunt in mundo, quia mundus transit et concupiscenzia ejus ("non amate il mondo, né le cose che sono del mondo, perché il mondo passa e passa la sua concupiscenza"), avvertì la chiamata alla vita religiosa. Implorò allora l'eremita di ammetterlo nel proprio ordine, e i suoi genitori acconsentirono con gioia.
Già prima della sua ordinazione venne mandato in diversi monasteri dell'ordine: Fermo, San Ginesio, Recanati, Macerata e altri, e i biografi mettono in evidenza che fu un modello di generoso impegno verso la perfezione.
Fece i voti solenni a meno di diciannove anni.
Nel 1269 fu ordinato sacerdote da Benvenuto Scotivoli.
Dopo la sua ordinazione, predicò soprattutto a Tolentino, dove fu trasferito intorno al 1275. Nel convento di Sant'Agostino di Tolentino rimase fino alla sua morte nel 1305.
Trascorse gli ultimi 30 anni della sua vita, predicando quasi ogni giorno. Sebbene negli ultimi anni la malattia mise alla prova la sua sopportazione, continuò le sue mortificazioni quasi fino al momento della morte. I devoti ne ricordano la mitezza, l'ingenua semplicità e la dedizione per la verginità, che non tradì mai, custodendola con la preghiera e la mortificazione.
È considerato un santo mariano poiché sostenne di avere la visione degli angeli che trasportavano la Santa Casa di Loreto nella città marchigiana il 10 dicembre del 1294. La sua protezione è invocata dai devoti per gli appestati, i naufraghi e i carcerati, ma in particolare per le anime del Purgatorio.
San Nicola fu anche un famoso esorcista, uno dei pannelli della sua vita affrescati nel Cappellone di Tolentino mostra proprio Nicola che libera una donna indemoniata; questa sua facoltà rimase integra anche dopo la sua morte visto che numerosi ex voto lo indicano come guaritore di indemoniati. La devozione al santo è iniziata appena dopo la sua morte, prova ne sono i numerosi ex voto che si trovano oggi in un'apposita ala della basilica a questi dedicata.
Celebri sin dal Medioevo sono i cosiddetti "panini miracolosi" di san Nicola, che servirono anche per la raccolta di farina da parte dei fedeli che si recavano al santuario e che dettero nome anche alla compagnia cerretana degli "affarinati", che rubavano la farina agli ingenui spacciandosi per pellegrini diretti a Tolentino, in cerca di farina per fare i panini miracolosi, citata anche dal vescovo urbinate Teseo Pini nel suo Speculum Cerretanorum del 1485.
Viene ricordato il 10 settembre. La sua tomba, a Tolentino, è conservata con venerazione dai fedeli.
Nel 2001, per la prima volta nella storia, le spoglie del Santo escono dalla Basilica di Tolentino, per una Peregrinatio. Esse arrivano in elicottero nella città di Modugno, dove molto forte è la devozione per San Nicola (patrono della città pugliese), per proseguire in un tragitto che tocca diverse località pugliesi.
È raffigurato con l'abito nero degli Eremitani di Sant'Agostino, con una stella sopra di lui o un sole sul petto, e in mano un giglio o una croce con ghirlande di gigli. Talvolta, al posto di un giglio, tiene una sacca riempita di denaro o pane.
È raffigurato con un sole al centro della tonaca nera, per uno dei fatti della vita del santo: si narra che un astro lucente lo seguisse continuamente nei suoi spostamenti e illuminasse la sua figura.

lunedì 9 settembre 2013

Santo del giorno 9 Settembre

Gorgonio di Roma
Gorgonio di Roma è stato un militare romano, martire durante le persecuzioni di Diocleziano; è venerato come santo dalla Chiesa cattolica.Ufficiale della corte di Diocleziano, si convertì al cristianesimo e si rifiutò, come il compagno d'armi, Doroteo di Nocomedia, di rinnegare la propria fede. I due furono torturati e messi a morte nei primi anni del IV secolo.
I loro corpi vennero inumati nella necropoli "Ai due allori", lungo la via Labicana a Roma, luogo attestato già dall'anno 354.
Nell'alto Medioevo fu fatta poi confusione tra la sua vicenda terrena e quella di un Gorgonio martire a Nicomedia.
Il Martirologio Geronimiano, al 9 settembre, menziona il culto di san Gorgonio a Roma nel cimitero di Pietro e Marcellino sulla via Labicana: Romae via Lavicana inter duas lauros in cimiterio ejusdem natale sancti Gorgoni.
Nel IV secolo papa Damaso scrisse dei versi in onore di Gorgonio martire.
Scritti agiografici furono redatti a Gorze nell'ultimo terzo del X secolo: un Panegirico ed i Miracoli.
La sua memoria liturgica cade il 9 settembre. È il santo patrono di Civitella d'Agliano.
Ma fu Gorgonio martire di Roma, e non l'omonimo martire di Nicomedia, a godere nel Medioevo di un culto tanto diffuso in diversi luoghi d'Europa, dove si credeva di custodire sue reliquie: a Gorze, Cluny, Pouillon (nella diocesi di Reims), Rethel, Saint-Gorgon (diocesi di Soissons) e a Minden.
Una prima traslazione del suo corpo avvenne a cura del vescovo Crodegango di Metz, che avrebbe avuto in dono le reliquie da papa Paolo I: ritornato in Lorena intorno al 765, Crodegango le portò nell'abbazia di Gorze.
Nell'XI secolo esse vennero traslate da Gorze presso l'abbazia di Saint-Arnould, anch'essa vicino a Metz.

sabato 7 settembre 2013

Santo del giorno 7 Settembre

SANTA REGINA
Di S. Regina (in francese Reine) si hanno solo pochissime notizie, ci pervengono da un testimone che si dichiara oculare; nacque e visse ad Alise (Gallia), presso Autun, nel III secolo e la madre morì durante il parto, cresciuta abbracciò la fede cristiana; si sa che il padre Olibrio pagano, dopo aver tentato vanamente di convincerla a recedere, la fece imprigionare e poi decapitare, evidentemente era un capo nella Gallia del III secolo.
Il martirio avvenne ad Alise, il luogo dove il condottiero dei Galli Vercingetorige, venne fatto prigioniero dal condottiero romano Giulio Cesare; Regina accettò sebbene giovanissima i tormenti del martirio, compiendo una scelta ben precisa, scelse di chiudere la sua vita terrena, per aprirne sicuramente una migliore, che le avrebbe offerto un regno assai più fulgido e duraturo.
In contrasto con le scarne notizie sulla sua vita, il culto per s. Regina ebbe una diffusione enorme, specie in Francia, in Borgogna, Alise (Alesia), Flavigny e in Germania ad Osnabrück; queste ultime due città furono protagoniste nel secolo XVII di una controversia, perché ognuna affermava di avere le reliquie della martire, nel 1693 il vescovo di Autun mise fine alla controversia, autorizzando le due città ad esporre ognuna le sue reliquie.
Ciò che è certo che prima del 628, Regina era venerata ad Alesia e verso il 750 sorgeva in quel luogo una basilica in cui si credeva fossero le sue reliquie, annesso vi era anche un monastero; nell’854 le reliquie furono trasportate a Flavigny, dove sono conservate anche le catene della sua prigionia.
Chiese intitolate al suo nome sorsero un po’ dovunque, il culto arrivò nel secolo XVII anche a Parigi, una Confraternita fondata nel 1604 presso la chiesa di s. Eustachio, porta il suo nome, Ste-Reine.
Nell’arte è raffigurata con la tradizionale palma del martirio, con l’ascia con la quale fu decapitata e con le catene che la tennero imprigionata.
La sua antichissima festa religiosa è al 7 settembre, data che è riportata ancora oggi in tutti i calendari.

venerdì 6 settembre 2013

Santo del giorno 6 Settembre

SANT'UMBERTO DI MAROILLES
Dei sei santi o beati che portano questo nome, al 6 settembre si celebra la festa del santo abate di Maroilles.
Nacque nel sec. VII da Evrardo e Popita, fu educato da alcuni monaci a cui era stato affidato. Fece due pellegrinaggi a Roma, un impresa per quell’epoca, di sicuro si sa che con l’aiuto del conte Radoberto, fondò un monastero a Maroilles nell’Hainant sulle rive dell’Helpe.
Si possiede ancora il testo della carta datata 675 con cui cedette la sua villa di Mezieres-sur-Oise alla chiesa di Maroilles. Dopo aver retto questo monastero per alcuni anni, morì il 25 marzo 680 o 681, fu sepolto nella cappella che aveva costruito e nell’833 i suoi resti furono trasferiti nella chiesa dell’abbazia. Ma dal 1020 fino al 1733 le sue reliquie girarono per varie zone trasportate dai vari Ordini di monaci succedutosi.
Negli antichi Martirologi di Francia, Paesi Bassi e Germania la sua festa era fissata al 25 marzo. Attualmente nella Diocesi di Cambrai essa figura al 6 settembre, anniversario di una traslazione.
Il nome Umberto deriva dall’antico alto tedesco Humbert e significa “splendido gigante”, fu il nome di tre conti di Casa Savoia: Umberto Biancamano, Umberto il Rinforzato e Umberto il Santo e del re Umberto I°

giovedì 5 settembre 2013

Santo del giorno 5 Settembre

SAN VITTORINO DI AMITERNO
Vittorino di Amiterno è stato un santo e vescovo italiano.
Vittorino di Amiterno deve il suo nome al luogo di nascita, l'antica città sabina di Amiternum, ad ovest dell'Aquila; qui fondò e divenne vescovo della Diocesi di Amiterno.
Fu martirizzato nel 96 d.C. nella piana che oggi prende il suo nome, presso Aquae Cutiliae (Terme di Cotilia) sulla via Salaria; secondo la leggenda, Vittorino fu legato e lasciato sospeso a testa in giù su di una sorgente di acqua sulfurea morendo avvelenato tre giorni dopo. Il suo corpo fu poi trasferito in territorio amiternino, nella località che attualmente si chiama appunto San Vittorino; la cripta in cui riposava il santo venne ampliata tra il IV e il VII secolo e, successivamente, al di sopra di essa si edificò la basilica attuale dedicata a San Michele Arcangelo.
Nel X secolo le sue reliquie vennero esposte nel monastero di San Vincenzo, a Metz.
Contraddittorie le notizie sulla data della commemorazione; oltre al 24 luglio indicato nel Martirologio Geronimiano, in quello Romano viene venerato il 5 settembre. Il santo viene ricordato, con altre attribuzioni, anche l'8 gennaio e il 15 aprile.

mercoledì 4 settembre 2013

Santo del giorno 4 Settembre

SANTA ROSALIA
Rosalia Sinibaldi (o di Sinibaldo) nasce a Palermo intorno al 1128. La tradizione narra che mentre il conte Ruggero osservava il tramonto con sua moglie, la contessa Elvira, una figura gli apparve dicendogli: «Ruggero io ti annuncio che, per volere di Dio, nascerà nella casa di Sinibaldo, tuo congiunto, una rosa senza spine», per questo motivo pare che, poco tempo dopo, quando nacque alla bambina venne assegnato il nome Rosalia. Esiste un'altra tradizione che vede spettatori della visione Guglielmo II e sua moglie Margherita, ma ciò non sarebbe possibile: il 1128, presunta data di nascita di Rosalia, non coincide col regno di Guglielmo, che va dalla morte del padre Guglielmo I nel 1166 alla propria nel 1189. Nel 1128, siamo a due anni dell'incoronazione di Ruggero II, la Sicilia è ancora una Contea e Palermo sta per diventare capitale del Regno Normano d'Italia meridionale.
Suo padre, il conte Sinibaldo, signore della Quisquina e del monte delle Rose (attuali territori di Santo Stefano Quisquina e Bivona, siti in provincia di Agrigento), faceva discendere la sua famiglia da Carlo Magno. Sua madre Maria Guiscardi era a sua volta di nobili origini e imparentata con la corte normanna. Da giovane visse in ricchezza presso la corte di re Ruggero, un giorno il conte Baldovino salvò il re Ruggero da un animale selvaggio che lo stava attaccando, il re volle ricambiarlo con un dono e Baldovino chiese in sposa Rosalia. La ragazza, all'indomani dell'offerta si presentò alla corte con le bionde trecce tagliate declinando l'offerta preferendo abbracciare la fede.
Inizialmente la ragazza si rifugiò presso il monastero delle Basiliane a Palermo, ma ben presto anche quel luogo fu troppo stretto a causa delle continue visite dei genitori e del promesso sposo che cercavano di dissuaderla dal suo intento. Decise quindi di trovare rifugio presso una grotta nei possedimenti del padre, che aveva visitato da fanciulla, presso Bivona. La sua fama intanto si diffuse presto e la grotta divenne luogo di pellegrinaggio. Un giorno la grotta fu trovata vuota e successivamente si venne a sapere che aveva deciso di tornare a Palermo occupando una grotta sul Monte Pellegrino per sfuggire ai pellegrini e trovare un rifugio silenzioso. Ma anche lì ben presto la sua fama la rese celebre ed iniziarono i pellegrinaggi, il 4 settembre del 1165 venne trovata morta dai pellegrini.
Secondo la tradizione cattolica, nel 1624 salvò Palermo dalla peste e ne divenne la patrona, spodestando santa Cristina, santa Oliva, santa Ninfa e sant'Agata. Mentre infuriava una terribile epidemia arrivata in città da alcune navi provenienti da Tunisi (antica "Barbaria"), la Santa apparve ad un povero 'saponaro', Vincenzo Bonelli (abitante dell'antico quartiere della "Panneria") che viveva barattando mobili vecchi, il quale avendo perso la propria giovane consorte a causa della peste nera, era salito sul Monte Pellegrino sul far della sera con l'intento di gettarsi giù dal precipizio prospiciente il mare (zona Addaura) per farla finita, causa la sua disperazione per l'immatura scomparsa della giovane moglie. Al momento di mettere in atto il suo triste intento, gli apparve innanzi una splendida figura di giovane donna pellegrina, bella e di grande splendore, che lo dissuase dal suo proposito, portandolo giù con sé al fine, disse, di mostrargli la sua grotta; infatti, lo condusse nei pressi della vecchia Chiesa di S. Rosolea, già allora esistente e dove la si venerava da antica data, nei pressi della famosa grotta che ella gli indica come la sua "cella pellegrina" e scendendo con lui dalla cosiddetta 'valle del porco' verso la città, esortantandolo a pentirsi e convertirsi, lo invita più di venti volte a informare il Card. Doria, Arcivescovo della città di Palermo, che le ossa già in precedenza rinvenute da un cacciatore in quella grotta incastonate nella roccia e che si presumeva potessero essere della Santa eremita -di cui si coltivava in quel luogo la memoria- ma delle quali non era certa l'origine e che erano già state raccolte e venivano custodite nella cappella personale del Cardinale, erano veramente sue; inoltre, che non si facessero più "dispute e dubii" e che, infine, venissero portate in processione per Palermo, poiché lei, Rosalia, aveva già ottenuto la certezza, dalla gloriosa Vergine Madre di Dio, che al passaggio delle sue ossa, al momento preciso del canto del Te Deum laudamus la peste si sarebbe fermata. Rosalia gli dice inoltre: "E per segno della verità, tu in arrivare a Palermo, cascherai ammalato di questa infermità (la peste) e ne morrai", dopo aver riferito tutto ciò al Cardinale: da ciò egli trarrà fede a quanto gli riferirai. Tutto questo il povero 'saponaro' Bonelli lo raccontò al padre Don Petru Lo Monaco, che glielo fece riferire subito al Cardinale di Palermo, il quale -constatando che realmente il Bonelli si era improvvisamente ammalato di peste e ne stava di lì a breve morendo- gli diede credito ed eseguì ciò che dallo stesso gli era stato fatto sapere, liberando immediatamente durante la processione delle sante reliquie di Rosalia la città di Palermo dalla peste. (trascizione dall'"Originale dellj testimonij di Santa Rosalia" - Manoscritto 2 Qq - 89 della Biblioteca Comunale di Palermo, a cura di Rosalia Claudia Giordano). Il culto della Santa è tuttavia attestato da documenti (Codice di Costanza d'Altavilla depositato presso la Biblioteca Regionale di Palermo e antica tavola lignea che la rappresenta in veste di monaca basiliana ed oggi custodita presso il Museo Diocesano di Palermo) a partire dal 1196 ed era diffuso già nel XIII secolo (antichissimo altare a lei dedicato nella vecchia cattedrale rogeriana). Essendo che la memoria della Santa palermitana nel 1600 lasciava ancora qualche residuo nelle litànie (si narra infatti che durante una delle processioni che invocavano i vari santi per liberare la città dal contagio, due diaconi pronunciassero il nome di Santa Rosalia contemporaneamente, segno che fece riaffiorare l'interesse in città per il suo culto "sòpito"), la riscoperta del suo corpo glorioso sul Monte Pellegrino incastonato in un involucro di roccia cristallina e la successiva rivelazione al Card. Doria del racconto del povero Bonelli, con la conseguente liberazione della città dall'epidemia, ne sancì il definitivo e popolare patrocinio, ratificato a Roma sotto il pontificato di Urbano VIII Barberini.
Il culto è particolarmente vivo a Palermo, dove ogni anno, il 14 e il 15 luglio, si ripete il tradizionale "Festino" che culmina nello spettacolo pirotecnico del 14 notte e dalla processione in suo onore del 15. Il 4 settembre invece la tradizionale acchianata ("salita" in lingua siciliana) a Monte Pellegrino conduce i devoti al Santuario in circa un'ora di scalata a piedi.
Nella provincia di Palermo il culto è presente a Campofelice di Roccella,in quanto importato dal principe palermitano fondatore dell'abitato attuale nel 1699, mentre in altri centri delle Madonie se ne trovano invece solo scarse tracce. A Bisacquino, feudo dell'arcivescovo di Monreale il culto deriva da una reliquia della santa donata nel 1626 dall'arcivescovo di Palermo.
In Sicilia il culto è attestato inoltre a Bivona e a Santo Stefano Quisquina, dove secondo la tradizione la santa visse per qualche tempo in eremitaggio e dove fu probabilmente introdotto dai Chiaramonte, signori feudali delle due località nella seconda metà del XIV secolo. A Bivona le prime notizie documentate della chiesa e della confraternita di Santa Rosalia risalgono al 1494. La santa era particolarmente invocata, insieme a San Rocco contro la peste: durante le epidemie del 1575 e del 1624 i bambini battezzati con i nomi dei due santi furono la quasi totalità dei nati, come risulta documentato nei registri di battesimo. Inoltre in Sicilia è venerata ad'Alia (PA), Novara di Sicilia, Mazara del Vallo (TP), Capaci (PA) e quasi in tutta l'isola.

martedì 3 settembre 2013

Santo del giorno 3 Settembre

SAN PAPA GREGORIO I
Papa Gregorio I, detto papa Gregorio Magno ovvero il Grande fu il 64º vescovo di Roma e Papa della Chiesa cattolica. La Chiesa cattolica lo venera come santo e dottore della Chiesa.
Gregorio Magno nacque verso il 540 da una famiglia aristocratica. Alcuni genealogisti collocano fra gli antenati di Gregorio i papi Felice II e Agapito.

Monaco e delegato apostolico

Grande ammiratore di Benedetto da Norcia decise di trasformare i suoi possedimenti a Roma (sul Celio) e in Sicilia in altrettanti monasteri e di farsi monaco, quindi si dedicò con assiduità alla contemplazione dei misteri di Dio nella lettura della Bibbia.
Non poté dimorare a lungo nel suo convento del Celio poiché, dopo essere stato ordinato diacono, papa Pelagio II lo inviò verso il 579 come apocrisario, presso la corte di Costantinopoli, dove restò per sei anni, e si guadagnò la stima dell'imperatore Maurizio I, di cui tenne a battesimo il figlio Teodosio.

Elezione

Al proprio rientro a Roma, nel 586, tornò nel monastero sul Celio; vi rimase però per pochissimo tempo, perché il 3 settembre 590 fu chiamato al soglio pontificio dall'entusiasmo dei credenti e dalle insistenze del clero e del senato di Roma, dopo la morte di Pelagio II di cui era stato segretario. Gregorio cercò di resistere alle insistenze del popolo, inviando una lettera all'Imperatore Maurizio in cui lo pregava di intervenire non ratificando l'elezione, ma il praefectus urbi di Roma, di nome Germano o forse fratello di Gregorio,intercettò la lettera e la sostituì con la petizione del popolo che chiedeva che Gregorio fosse eletto papa.
 
In quel tempo Roma era afflitta da una terribile pestilenza. Per implorare l'aiuto divino, Gregorio fece andare il popolo in processione per tre giorni consecutivi alla basilica di Santa Maria Maggiore, cosa che, ovviamente, aumentò i contagi. Cessata l'epidemia, più tardi una leggenda disse che, durante la processione, era apparso sulla mole Adriana l'arcangelo Michele che rimetteva la spada nel suo fodero come per annunziare che le preghiere dei fedeli erano state esaudite. Da allora il mausoleo di Adriano mutò il nome in quello di Castel Sant'Angelo e una statua dell'angelo vi fu posta sulla cima.
Come papa si dimostrò uomo di azione, pratico e intraprendente (chiamato "l'ultimo dei Romani"), nonostante fosse fisicamente abbastanza esile e cagionevole di salute. Fu amministratore energico, sia nelle questioni sociali e politiche per supportare i bisognosi di aiuto e protezione, sia nelle questioni interne della Chiesa.

Relazioni diplomatiche con altri stati

Trattò con molti paesi europei; con il re visigoto Recaredo di Spagna, convertitosi al cattolicesimo, Gregorio fu in continui rapporti, e fu in eccellente relazione con i re franchi. Con l'aiuto di questi e della regina Brunechilde, riuscì a tradurre in realtà quello ch'era stato il suo sogno più bello: la conversione della Britannia, che affidò ad Agostino di Canterbury, priore del convento di Sant'Andrea.
A questo proposito si racconta che un giorno, scendendo dal suo convento sul Celio e vedendo al mercato alcuni giovani schiavi britannici esposti per la vendita, bellissimi di aspetto e pagani, esclamasse rammaricato:
In meno di due anni diecimila Angli, compreso il re del Kent, Edelberto, si convertirono. Era questo un grande successo di Gregorio, il primo della sua politica che mirava ad eliminare gli avversari della Chiesa e ad accrescere l'autorità del papato con la conversione dei "barbari".
Si trovò a dover provvedere, a fronte di un'inefficiente esercito imperiale, alla difesa di Roma, assediata nel 593 da Agilulfo, re dei Longobardi, coi quali poi riuscì a stabilire rapporti di buon vicinato e avviò la loro conversione dall'eresia ariana al cattolicesimo grazie anche all'influente sostegno della regina Teodolinda.

Amministrazione interna

Nei territori che cadevano sotto la propria responsabilità amministrativa in Italia, nel cosiddetto Patrimonio di San Pietro, Gregorio seppe far fronte, aiutato da una rete di funzionari, a una serie di problemi, resi più gravi dalle continue alluvioni, carestie e pestilenze; ebbe cura degli acquedotti e favorì l'insediamento dei coloni eliminando ogni residuo di servitù della gleba. Riuscì a intrattenere rapporti epistolari anche con il re della Barbagia, Ospitone, e cercò di dissuadere la popolazione dall'idolatria e dal paganesimo, convertendo Ospitone stesso al Cristianesimo.
 
Riorganizzò a fondo la liturgia romana, ordinando le fonti liturgiche anteriori e componendo nuovi testi, e promosse quel canto tipicamente liturgico che dal suo nome si chiama "gregoriano". L'epistolario (ci sono pervenute 848 lettere) e le omelie al popolo ci documentano ampiamente sulla sua molteplice attività e dimostrano la sua grande familiarità con la Sacra Scrittura.
Morì il 12 marzo 604.
Si può dire che sia stato il primo papa che abbia utilizzato anche il potere temporale della Chiesa senza, comunque, dimenticare l'aspetto spirituale del proprio compito.

Il canto gregoriano

Il canto gregoriano è il canto rituale in lingua latina adottato dalla Chiesa cattolica e prende il nome da Gregorio I. Mentre non si sa se abbia scritto egli stesso dei canti (i manoscritti più antichi contenenti i canti del repertorio gregoriano risalgono al IX secolo), la sua influenza sulla Chiesa fece sì che questi prendessero il suo nome.
A tal proposito si cita la famosa leggenda di san Gregorio Magno, tramandata da un intellettuale longobardo della corte di Carlo Magno (Paul Warnefried, detto Paolo Diacono) e da un gruppo di illustrazioni di vari manoscritti che vanno dal IX al XIII secolo: Gregorio avrebbe dettato i suoi canti ad un monaco, alternando tale dettatura a lunghe pause; il monaco, incuriosito, avrebbe scostato un lembo del paravento di stoffa che lo separava dal pontefice, per vedere cosa egli facesse durante i lunghi silenzi, assistendo così al miracolo: una colomba (che rappresenta naturalmente lo Spirito Santo), posata su una spalla del papa, gli stava a sua volta dettando i canti all'orecchio.

La Numerologia è un incredibile strumento in grado di decifrare l’uomo, i suoi meccanismi profondi, i suoi cicli personali.