Oggi è un giorno molto speciale perchè festeggiamo un grande protagonista della storia cattolica moderna.
Speriamo abbiate il tempo per recarvi al santuario, per porgervi i dovuti omaggi,
Pochi santi furono, come padre Pio, dotati di doni straordinari
che hanno richiamato su di lui l'attenzione del mondo intero: le
stimmate, il profumo misterioso che emanava dal suo corpo, i carismi di
profezie e di scrutamento dei cuori, le guarigioni e le conversioni
attribuite alla sua preghiera. Nel convento del Gargano, nel quale
l'umile frate cappuccino viveva, la ressa di devoti era quotidiana:
tutti lo volevano vedere, toccare; tutti desideravano assistere alla sua
messa un momento di rara intensità spirituale e soprattutto
confessarsi, rimettersi in sintonia con Dio guidati da lui. La
confessione era un incontro che spesso sconvolgeva le persone mutando
per sempre la loro vita, mentre il numero dei «convertiti» e dei devoti
estimatori aumentava incessantemente.
Ma poi, in concreto, per
lui la vita fu un lungo calvario che egli visse unendosi a Cristo per
la salvezza delle anime, fedele a un programma di vita, che egli aveva
così espresso nell'immagine ricordo della sua prima messa: «Gesù, mio
sospiro e mia vita, oggi che trepidante ti elevo in un mistero d'amore,
con te io sia per il mondo Via, Verità e Vita e per te sacerdote santo,
vittima perfetta».
Francesco Forgione (così si chiamava padre
Pio prima di indossare il saio francescano) nacque il 25 maggio 1887 a
Pietrelcina, piccolo paese di contadini e pastori della provincia di
Benevento. I genitori, ambedue analfabeti, pur sudando sui campi, non
riuscivano a sfamare la copiosa nidiata che avevano messo al mondo
(sette figli). Tanto che papà Orazio un giorno si imbarcò per l'America
sperando in una sorte migliore. Gli andò bene, lavoratore instancabile e
avveduto, riuscì a mettere insieme una discreta fortuna.
Alla
famiglia intanto badò mamma Maria Giuseppa. Forte e ricca di fede, aveva
una predilezione per il piccolo Francesco, perché era il più gracile,
spesso in preda a misteriose e violente febbri, e dotato di una fine
sensibilità religiosa che lo portava a ricercare luoghi solitari per
dedicarsi alla preghiera. E si chiedeva, mamma Maria, che cosa avrebbe
potuto fare da grande quel suo figliolo così gracile. Risolse lui stesso
il problema. Indicando con la mano il frate cappuccino venuto per la
questua, disse: «Voglio farmi frate, come fra Camillo».
Nel
1903, indossando il saio francescano nel convento dei cappuccini di
Morone, iniziava il cammino di preparazione alla vita religiosa e
sacerdotale che si concluse il 10 agosto 1910. E non fu un cammino
facile: le misteriose malattie che lo avevano tormentato a casa,
continuarono con assalti di una virulenza tale da far temere che non
sarebbe mai giunto vivo all'ordinazione, tant'è vero che, non appena
ebbe l'età minima richiesta dal diritto canonico, fu consacrato
sacerdote.
Con gli sgargianti paramenti sacri addosso pareva
ancora più debole ed emaciato, tanto che i superiori ebbero compassione
di lui e, anziché inserirlo subito nell'attività pastorale, lo mandarono
a Pietrelcina, sperando che l'aria di casa gli avrebbe fatto tornare un
po' di forze; qui invece il giovane frate imboccava dritto la strada di
quel calvario che percorrerà per tutta la vita.
Il 5 agosto
1918 gli apparve un misterioso personaggio che gli trafisse il cuore con
un dardo infuocato, mentre il 20 settembre riceveva le stimmate,
inizialmente invisibili. «Ero in coro ha raccontato lui stesso dopo
la celebrazione della santa messa, allorché venni sorpreso da un riposo
simile a un dolce sonno. Tutti i sensi interni ed esterni nonché le
stesse facoltà dell'anima si trovarono in una quiete indescrivibile. Vi
subentrò subito una grande pace. E mentre tutto questo si andava
operando, vidi innanzi un misterioso Personaggio, simile a quello visto
il 5 agosto, che si differenziava solamente in questo: aveva le mani, i
piedi e il costato che grondavano sangue. La sua vista mi atterrì. Mi
sentii morire e sarei morto se il Signore non fosse intervenuto a
sostenere il cuore che sentivo sbalzare dal petto. Il Personaggio si
ritirò e io mi avvidi che mani, piedi e costato erano trasformati e
grondavano sangue».
Un fatto mistico accompagnato da dolore
fisico acuto e lacerante. Ma sopportabile. Più profondo e più lacerante
fu il dolore provocato invece dai giudizi, dai sospetti e dalle condanne
che gli vennero da istituzioni ecclesiastiche, da confratelli e da
ambienti scientifici per i quali le ferite del frate del Gargano erano
frutto di isterismo.
Scienziati di ogni tipo, inviati da
organismi religiosi e dallo stesso Vaticano, si accanirono per
dimostrare che i fenomeni attribuitigli non avevano alcuna origine
soprannaturale. E riuscirono a convincere il Sant'Uffizio, promotore di
una delle inchieste più clamorose durante il pontificato di Pio XI, che
si trattava di fenomeni isterici. E gli arcigni monsignori del Vaticano
nel 1923, con un apposito decreto, vietavano al frate di Pietrelcina di
dire la messa in pubblico e di confessare i fedeli. Un'atroce tortura,
durata una decina d'anni, che padre Pio visse in silenzio, senza
protestare, rifugiandosi nella preghiera e nella penitenza.
La
gente, che non aveva mai messo in dubbio l'origine soprannaturale di
quelle misteriose piaghe, quando cessò l'ostracismo, riprese a salire la
mulattiera che conduceva al convento per ascoltare la messa celebrata
dal frate delle stimmate.
Padre Pio definiva la messa «il
mistero tremendo». Ed era per lui un momento di grande emozione
spirituale: il volto trasfigurato, gli occhi luminosissimi, il corpo
rapito oltre il tempo e lo spazio. Ma anche per quanti la seguivano era
un momento di rara tensione e, dopo la messa, facevano la coda davanti
al suo confessionale per accedere al sacramento del perdono e per
chiedergli di intercedere per loro presso Dio. E c'era chi se ne andava
deluso o irritato, e chi interiormente trasformato. Molte le conversioni
anche di personaggi notissimi al grande _pubblico che verso il frate
stigmatizzato nutrirono sempre profonda riconoscenza e devozione. Padre
Pio, uomo di grande carità e umiltà, aveva anche il dono di leggere nei
cuori, «sentiva» se chi lo avvicinava era sincero o ambiguo; per qucsto
con alcuni era buono e con altri spicciativo o addirittura burbero.
Invitava tutti comunque a pregare sempre, a essere in continuo contatto
con il Signore.
Nel 1940, mentre il mondo era alle prese con
il terribile dramma della guerra, nascevano su suo invito i «Gruppi di
preghiera», un'istituzione che presto si diffuse proficuamente in tutto
il mondo. «La preghiera aveva detto ai suoi confratelli è la chiave
dei tesori di Dio, è l'arma del combattimento e della vittoria in ogni
lotta per il bene e contro il male».
Nel medesimo anno, spinto
da un grande amore per il prossimo, soprattutto per quanti erano
afflitti dalla malattia, metteva in moto un movimento di carità e di
solidarietà per poter realizzare una struttura ospedaliera a servizio
dei malati poveri. L'idea si concretizzava nel 1956 con l'inaugurazione
della Casa sollievo della sofferenza, destinata a diventare uno degli
ospedali meglio attrezzati del Meridione, nel quale lavorano luminari
della medicina e dove tutti sono invitati a vedere nel malato e nel
povero il volto stesso di Gesù.
Tra i tanti doni di cui era
dotato, padre Pio ebbe anche quello di prevedere il tempo della sua
morte. Un giorno, ed eravamo nel 1918 quando aveva appena ricevute le
stimmate, disse a uno che frequentava il convento: «Coraggio: abbiamo
ancora cinquant'anni davanti». E cinquant'anni dopo, 1968, mentre con i
devoti si accingeva a commemorare il mezzo secolo dall'evento, padre Pio
avvicinò quel fedele e con un filo di voce gli sussurrò: «Cinquant'anni
sono passati».
La domenica 20 settembre si fece gran festa,
padre Pio celebrò messa e poi si affacciò a benedire i pellegrini che
erano accorsi in gran numero. Fu l'ultima volta che lo videro vivo,
perché la notte del 23, dopo aver recitato per intero il rosario,
moriva.
La gente lo venerò come un santo, prima ancora che la
chiesa si esprimesse in tal senso. Il convento e la chiesa dove
celebrava messa sono diventati ben presto meta di incessanti
pellegrinaggi e luogo di preghiera, di carità e di conversione. Il
cammino verso gli altari, però, fu più tortuoso. Coloro che lo avevano
avversato in vita, anche per motivi poco nobili (leggi: l'uso delle
tante offerte che la gente inviava per le sue iniziative di carità),
misero molti pali tra le ruote.
Ma alla fine la verità sulla
sua santità ha avuto il sopravvento. Padre Pio, che definiva se stesso
«un frate che prega», è stato proclamato beato da papa Giovanni Paolo
II, che nutriva per lui grande devozione, il 2 maggio del 2000, e due
anni dopo, il 16 giugno 2002 lo stesso Pontefice in piazza San Pietro,
lo proclamò Santo e ne stabilì la memoria liturgica per il 23 settembre,
"giorno della sua nascita al cielo".
Il luglio 2004 fu inaugurata la nuova grande chiesa a S. Giovanni Rotondo progettata dal celebre architetto Renzo Piano.
PRATICA. Riflettiamo
sulle parole di San Pio, (ASN, 15): "La vita non è che una perpetua
reazione contro se stessi e non si schiude in bellezza, che a prezzo del
dolore. Tenete sempre compagnia a Gesù nel Getsemani ed egli saprà
confortarvi nelle ore angosciose che verranno".
PREGHIERA. O
Dio, per la tua misericordia e per i meriti di questo tuo grande santo,
concedi anche a noi una fede capace di scorgere nei poveri e nei
sofferenti il volto di Gesù. Insegna anche a noi l'umiltà del cuore,
perché in tuo nome, scopriamo la gioia di perdonare i nostri nemici.
MARTIROLOGIO ROMANO. Memoria
di san Pio da Pietrelcina (Francesco) Forgione, sacerdote dellOrdine
dei Frati Minori Cappuccini, che nel convento di San Giovanni Rotondo in
Puglia si impegnò molto nella direzione spirituale dei fedeli e nella
riconciliazione dei penitenti ed ebbe tanta provvidente cura verso i
bisognosi e i poveri da concludere in questo giorno il suo
pellegrinaggio terreno pienamente configurato a Cristo crocifisso.
Fonti wikipedia e vaticane
Nessun commento:
Posta un commento