Egli era un nobile del Trecento, sposo felice di una gentildonna
sua pari, e aveva un debole per la caccia. Un giorno, lungo la riva del
Po giallastro, un ghiotto capo di selvaggina, ch'egli inseguiva a
cavallo, circondato dai cani e dai bracconieri, cercò scampo dentro una
macchia impenetrabile.
Dominato dall'impazienza e dal dispetto, l'appassionato cacciatore
impartì un ordine imprudente: quello di dar fuoco alla macchia per
stanare l'animale. Era estate, e nella pianura riarsa dal sole, gli
uomini di Corrado non furono in grado di controllare le fiamme da loro
stessi suscitate. Si sviluppò un incendio che, con l'aiuto del vento,
distrusse le messi e le cascine vicine.
Corrado e i suoi uomini rientrarono in città senza esser notati. Nessuno
era stato testimone del loro involontario malestro. Il rimorso e la
paura tennero suggellate le bocche. Ma i proprietari e i contadini
danneggiati protestarono presso il governatore della città, che ordinò
un'inchiesta. Fu allora arrestato un vagabondo, trovato nei boschi,
vicino al luogo dell'incendio. Le prove a suo carico parvero
sufficienti, ed egli venne senz'altro condannato a morte. Ma sulla
piazza della città, poco prima che avesse luogo l'esecuzione, Corrado
non poté resistere all'impulso della propria coscienza, che gl'imponeva
di scagionare l'innocente e di accusarsi colpevole al suo posto.
La sua inaspettata confessione chiarì come erano andate le cose. Poiché
non si trattava di dolo, ma di responsabilità colposa, dovuta ad una
imprudenza, il nobile piacentino venne condannato a risarcire tutti i
danni arrecati dalle fiamme. Corrado era ricco, ma l'incendio era stato
rovinoso. Quando l'ultimo danneggiato fu risarcito, egli aveva finito
non solo tutti i suoi beni ma anche quelli della moglie.
I due sposi ridotti all'indigenza non si angustiarono per questo. Per
ambedue quel drammatico avvenimento aveva illuminato di nuova luce tutta
la loro vita, come un segno del cielo. La donna rivestì così l'abito
delle poverissime figlie di Santa Chiara, entrando nel convento di
Piacenza. Corrado si unì ad alcuni devoti eremiti che vivevano fuor di
città, sotto la Regola del Terz'Ordine francescano.
I meriti dell'incendiario fattosi penitente furono così luminosi, che
molti ammiratori presero a visitarlo e a seguirlo. Per questo Corrado
preferì allontanarsi dai luoghi natali, incamminandosi verso Roma. Ma
non si fermò presso le tombe degli Apostoli. Proseguì il suo lungo
viaggio percorrendo tutta la penisola e passando in Sicilia. Qui si
fermò, nella valle di Noto, non lontano da Siracusa, in vista del
ceruleo mare Ionio, dove visse trent'anni prima presso 'un ospedale poi
come eremita sui monti. E anche qui volò alta la fama della sua santità,
e soprattutto l'eco delle durissime privazioni di quel devoto
penitente. Ogni venerdì egli scendeva a Noto, e, dopo essersi
confessato, pregava a lungo davanti ad un celebre crocifisso che si
conserva nella cattedrale della città. In quella stessa cattedrale
furono riposte le sue reliquie, dopo la morte avvenuta nel 1351, 2 i
cittadini di Noto onorarono con culto vivissimo il miracoloso eremita
piacentino. Ottennero anche, dal Papa Leone X, di poterlo invocak come
secondo Patrono della città, subito dopo il grande San Nicola, al quale è
dedicata la chiesa che ospita i venerati resti del Beato Corrado,
nobile di Piacenza e primo cittadino di Noto.
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Fonti Vaticane e wikipedia
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