Una affermazione della numerologia avanzata da alcuni praticanti conclude che, dopo osservazioni empiriche e investigazioni, attraverso lo studio dei numeri l'uomo potrà scoprire aspetti segreti di sé stesso e dell'universo.

giovedì 19 settembre 2013

Santo del giorno 19 Settembre

SAN GENNARO
È il patrono principale di Napoli, nel cui Duomo sono custodite due ampolle contenenti una sostanza allo stato solido, che la tradizione afferma essere sangue del santo, e che fonde tre volte all'anno.
Il nome Gennaro è molto diffuso in Campania e risale al latino "Ianuarius" che significa "consacrato al dio Giano" ed era in genere attribuito ai bambini nati a gennaio (Ianuarius), mese sacro al dio.
In realtà, poiché san Gennaro appartenne alla gens Ianuaria, non era il suo nome, che secondo la tradizione era Procolo, ma il gentilizio corrispondente e cioè l'attuale cognome.
Convenzionalmente si crede che Gennaro sia nato verso l'anno 272. Sul luogo esistono molte tradizioni, di cui la prima lo vuole nato a Benevento, città di cui sarà vescovo, dove la pietà popolare individua a tutt'oggi la sua casa natale in dei ruderi romani siti nella via ad egli intitolata. In mancanza di prove certe è ovviamente impossibile risalire alla verità storica.
Gennaro era il vescovo di Benevento e si recò insieme al lettore Desiderio e al diacono Festo in visita ai fedeli a Pozzuoli. Il diacono di Miseno Sossio - già amico di Gennaro che lo era venuto a trovare in passato a Miseno per discutere di fede e leggi divine - volendo recarsi ad assistere alla visita pastorale, fu invece arrestato lungo la strada per ordine del persecutore Dragonzio, governatore della Campania. Gennaro insieme a Festo e Desiderio si recò allora in visita dal prigioniero, ma, avendo intercesso per la sua liberazione ed avendo fatto professione di fede cristiana, furono anch'essi arrestati e da Dragonzio condannati ad essere sbranati dai leoni nell'anfiteatro di Pozzuoli. Il giorno dopo, tuttavia, per l'assenza del governatore stesso, impegnato altrove o, secondo altri, perché si era accorto che il popolo dimostrava simpatia verso i condannati e quindi per evitare disordini, il supplizio fu sospeso. Secondo la tradizione invece, il supplizio fu mutato per l'avvenimento di un miracolo, infatti, le fiere si inginocchiarono al cospetto dei sette condannati, dopo una benedizione fatta da Gennaro.
Dragonzio comandò allora che a Gennaro e ai suoi compagni venisse troncata la testa. Condotti nei pressi del Forum Vulcani (l'attuale Solfatara di Pozzuoli), essi furono decapitati nell'anno 305. La stessa sorte toccò anche a Procolo, diacono della chiesa di Pozzuoli, e ai due laici Eutiche e Acuzio che avevano osato criticare la sentenza di morte per i quattro. Gli Atti affermano che nel luogo del supplizio sorse una chiesa in ricordo del loro martirio, mentre il corpo di Gennaro sarebbe stato sepolto nell'Agro Marciano e solo nel V secolo traslato dal duca-vescovo di Napoli Giovanni I nelle Catacombe di San Gennaro.
Negli Atti Vaticani si narrano molti altri episodi mitici. I più conosciuti narrano di Gennaro e dei suoi compagni che si sarebbero recati a Nola, dove avrebbero incontrato il perfido giudice Timoteo. Questi, avendo sorpreso Gennaro mentre faceva proselitismo, lo avrebbe imprigionato e torturato. Poiché le tremende torture inflittegli non sortivano effetto, lo avrebbe infine gettato in una fornace ardente; una volta riaperta la fornace, non solo Gennaro vi uscì illeso e senza che neppure le sue vesti fossero state minimamente intaccate dal fuoco, ma le fiamme investirono i pagani venuti ad assistere al supplizio. Caduto malato e nonostante fosse guarito da Gennaro, Timoteo non mostrò alcuna gratitudine ma lo fece condurre all'anfiteatro di Pozzuoli affinché fosse sbranato dalle fiere. Per questi racconti è chiara la derivazione dalla Bibbia, in modo particolare dal Libro del profeta Daniele, a cui il redattore degli Atti Vaticani deve essersi ispirato.
Durante il cammino verso il luogo dell'esecuzione, situato presso la Solfatara, un mendicante chiese a Gennaro un lembo della sua veste, da conservare come reliquia. Gennaro rispose che, una volta eseguita la sentenza, avrebbe potuto prendere il fazzoletto con cui sarebbe stato bendato.
La tradizione vuole che, mentre il carnefice si preparava a vibrare il colpo mortale, Gennaro si fosse portato un dito alla gola per sistemarsi il fazzoletto. In quell'istante il carnefice calò la scure, recidendo anche il dito. Quella notte, Gennaro apparve in sogno a colui che era incaricato di portare via il corpo, invitandolo a raccogliere anche il dito.
Sempre secondo la tradizione, subito dopo la decapitazione sarebbe stato conservato del sangue, come era abitudine a quel tempo, raccolto da una pia donna di nome Eusebia che lo racchiuse in due ampolle; esse sono divenute un attributo iconografico tipico di san Gennaro. Il racconto della pia donna è tuttavia recente, e compare pubblicato per la prima volta solo nel 1579, nel volume del canonico napoletano Paolo Regio su "Le vite de' sette Santi Protettori di Napoli".
I vari ed interessanti testi agiografici (inni, carmi e lodi) in onore di san Gennaro e dei suoi compagni martiri si possono consultare nella Bibliotheca Sanctorum edita dalla Pontificia Università Lateranense nel 1965.
Documenti liturgici molto antichi, come il calendario cartaginese (redatto poco dopo il 505) ed il Martirologio Geronimiano del V secolo assegnano come data del martirio di Gennaro e dei suoi compagni il 19 settembre; indicano invece nel 13 aprile la data della prima traslazione dei resti del santo. Anche in un altro martirologio risalente all'VIII secolo, redatto dal monaco inglese Beda, il 19 settembre viene indicato come data del martirio.
Nel calendario marmoreo di Napoli la data del 19 settembre viene indicata come "dies natalis" di San Gennaro.
Tutte queste fonti, e numerose altre ancora, attestano che la venerazione per San Gennaro ha origini antichissime che risalgono all'epoca del suo martirio o al più tardi a quella della prima traslazione delle sue spoglie, avvenuta nel V secolo.
Il duca e vescovo di Napoli Giovanni I trasportò fra il 413 e il 431 le reliquie del santo dall'Agro Marciano nella parte inferiore delle catacombe napoletane di Capodimonte, le quali assunsero così il nome del santo, e qui esse furono centro di vivissimo culto.
Il principe longobardo di Benevento Sicone I, assediando la città di Napoli nel 831, ne approfittò per impossessarsi dei resti mortali che, da lì portò nella sua città, sede episcopale. Le sante reliquie furono deposte nella cattedrale - che allora si chiamava Santa Maria di Gerusalemme - ove restarono fino al 1154. In quell'anno infatti, considerando che la città di Benevento non era più sicura, il normanno Guglielmo I il Malo provvide affinché esse venissero traslate nell'Abbazia di Montevergine.
A Montevergine però la devozione dei pellegrini che vi si recavano era rivolta soprattutto a San Guglielmo e alla popolarissima icona bizantina della Madonna chiamata "Mamma Schiavona", sicché di San Gennaro si perse ben presto la memoria e addirittura la cognizione del suo luogo di sepoltura. A Napoli invece rimaneva vivissimo il culto per San Gennaro, anche per la presenza delle altre sue reliquie: il capo e le ampolle con il suo sangue.
Carlo II d'Angiò dopo aver fatto eseguire dai maestri orafi francesi Stefano Godefroy, Guglielmo di Verdelay e Milet d'Auxerre un preziosissimo busto-reliquiario in argento dorato per contenere la testa e le ampolle con il sangue del santo, espose per la prima volta la reliquia alla pubblica venerazione nel 1305. Suo figlio Roberto d'Angiò invece fece realizzare la teca d'argento che custodisce le due ampolle del sangue. Tuttavia la liquefazione del sangue non è attestata prima del 17 agosto 1389, allorché il miracolo si compì durante una solenne processione intrapresa per una grave carestia.
Quando a Montevergine per merito del cardinale Giovanni di Aragona furono ritrovate le ossa di San Gennaro, collocate al di sotto dell'altare maggiore, la potente famiglia dei Carafa si impegnò, grazie soprattutto all'interessamento del cardinale Oliviero e con il sostegno di suo fratello l'arcivescovo napoletano Alessandro Carafa, affinché le reliquie tornassero a Napoli, la qual cosa avvenne nel 1497, non senza l'opposizione da parte dei monaci di Montevergine. Come degno luogo per ospitarle, il cardinale Oliviero Carafa fece costruire nel Duomo di Napoli, al di sotto dell'altare maggiore, una cripta d'eccezione in puro stile rinascimentale: la Cappella del Succorpo.
A seguito di una terribile pestilenza che imperversò a Napoli fra il 1526 ed il 1529, i napoletani fecero voto a San Gennaro di edificargli una nuova cappella all'interno del Duomo. Benché i lavori fossero iniziati solo nel 1608 e siano durati quasi quarant'anni, la sfolgorante e ricca Cappella del Tesoro di San Gennaro venne infine consacrata nel 1646. Al di sopra del suo splendido cancello realizzato da Cosimo Fanzago, figura l'iscrizione Divo Ianuario e fame bello peste ac Vesaevi igne miri ope sanguinis erepta Neapolis civi patr. vindici ("A San Gennaro, al cittadino salvatore della patria, Napoli salvata dalla fame, dalla guerra, dalla peste e dal fuoco del Vesuvio, per virtù del suo sangue miracoloso, consacra"). Nel 1633 la città di Napoli, sulla cappella del tesoro, nel suo Duomo scolpiva la sua riconoscenza con la seguente dedica: Divo Jannuario - Patriae, regnique praesentissimo tutelari - grata Neapolis.
Secondo la tradizione, il sangue di san Gennaro si sarebbe sciolto per la prima volta ai tempi di Costantino I, quando il vescovo Severo (secondo altri il vescovo Cosimo) trasferì le spoglie del santo dall'Agro Marciano, dove era stato sepolto, a Napoli. Durante il tragitto avrebbe incontrato la nutrice Eusebia con le ampolline del sangue del santo: alla presenza della testa, il sangue nelle ampolle si sarebbe sciolto.
Storicamente, la prima notizia documentata dell'ampolla contenente la presunta reliquia del sangue di San Gennaro risale soltanto al 1389, come riportato nel Chronicon Siculum (ma dal testo si può dedurre che doveva avvenire già da molto tempo): nel corso delle manifestazioni per la festa dell'Assunta di quell'anno, vi fu l'esposizione pubblica delle ampolle contenenti il cosiddetto "sangue di San Gennaro". Il 17 agosto 1389 vi fu una grandissima processione per assistere al miracolo: il liquido conservato nell'ampolla si era liquefatto "come se fosse sgorgato quel giorno stesso dal corpo del santo". La cronaca dell'evento sembra suggerire che il fenomeno si verificasse allora per la prima volta. Del resto, la Cronaca di Partenope, precedente di qualche anno (1382), pur parlando di diversi "miraculi" attribuiti alla potenza di San Gennaro, non menziona mai una reliquia di sangue del martire.
Oggi le due ampolle, fissate all'interno di una piccola teca rotonda realizzata con una larga cornice in argento e provvista di un manico, sono conservate nella cassaforte dietro l'altare della Cappella del Tesoro di San Gennaro. Delle due ampolle, una è riempita per 3/4, mentre l'altra più alta è semivuota poiché parte del suo contenuto fu sottratto da re Carlo III di Borbone che lo portò con sé in Spagna. Tre volte l'anno (il sabato precedente la prima domenica di maggio e negli otto giorni successivi; il 19 settembre e per tutta l'ottava delle celebrazioni in onore del patrono, ed il 16 dicembre), durante una solenne cerimonia religiosa guidata dall'arcivescovo, i fedeli accorrono per assistere al miracolo della liquefazione del sangue di San Gennaro. La liquefazione del tessuto durante la cerimonia è ritenuto foriero di buoni auspici per la città; al contrario, si ritiene che la mancata liquefazione sia presagio di eventi fortemente negativi e drammatici per la città.
Un analogo fenomeno, anch'esso ritenuto miracoloso, si suppone che avvenga anche a Pozzuoli, dove, nella chiesa di San Gennaro presso la Solfatara, su di una lastra marmorea su cui si afferma che Gennaro fosse stato decapitato e che sia impregnata del suo sangue, ancora oggi c'è chi sostiene che delle tracce rosse diventino di colore più intenso e trasuderebbero in concomitanza con il miracolo più importante che avviene a Napoli.
Secondo studi recenti però sembra che la pietra sia in realtà il frammento di un altare paleocristiano di due secoli posteriore alla morte del martire sul quale vi siano depositate tracce di vernice rossa e di cera e che il tutto sia solo frutto di una suggestione collettiva.

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