Una affermazione della numerologia avanzata da alcuni praticanti conclude che, dopo osservazioni empiriche e investigazioni, attraverso lo studio dei numeri l'uomo potrà scoprire aspetti segreti di sé stesso e dell'universo.

domenica 31 marzo 2013

Il numero


Il concetto di numero è fondamentale nell'uomo, anche il meno evoluto. L'idea numerica piú semplice è quella di avvertire una modificazione nella quantità di oggetti che cadono sotto i nostri sensi. Sembra che anche taluni animali, come certi uccelli in rapporto alla quantità delle uova, abbiano un vago concetto di numero come quantità, qualora questa venga cambiata. Ma esclusiva dell'uomo è la facoltà di contare. Il primo metodo di conteggio si è basato certamente sugli arti, specialmente le mani; cosí si è arrivati al dieci, base del sistema decimale. Se l'uomo avesse avuto sei dita per mano certamente avrebbe prevalso la numerazione duodecimale che, tra parentesi, sarebbe stata assai piú comoda. La numerazione duodecimale è rimasta nel concetto di dozzina. Taluni popoli, ad esempio gli Esquimesi, si direbbe abbiano introdotto nel conteggio anche le dita dei piedi, arrivando cosí ad una numerazione vigesimale. Traccia di tale numerazione è rimasta anche nel francese. Ciò che dà un'inutile complicazione nell'espressione di un numero; ad esempio 92 in francese implica una moltiplicazione ed una somma: esso è difatti quatrevingtdouze, cioè: 4×20+12. Quando fu scoperta e introdotta la scrittura, i numeri, che prima erano indicati con semplici segni, vennero poi identificati con lettere alfabetiche; cosí, è ben noto, fecero ad esempio i Romani. Anzi la numerazione romana perdurò sino al secolo XV, benché, già poco dopo il 1200, il mercante pisano Fibonacci, che fu anche valente matematico, avesse portato dall'Oriente la numerazione indiana, impropriamente detta araba. La scienza del numero difatti, nata forse in Grecia, passò in India e dall'India agli arabi. Questi ebbero anzi grandi matematici e diedero il nome all'algebra, parola la cui derivazione dall'arabo (art. al) è chiarissima. Fu questa numerazione che diede modo di sviluppare in modo straordinario specialmente l'aritmetica. Infatti coi numeri letterali romani perfino le operazioni fondamentali erano di una difficoltà enorme. È noto un aneddoto relativo ad un mercante olandese del Medio Evo, che voleva far studiare il figlio, e che chiese consiglio ai dotti del tempo.
«Se volete che vostro figlio impari l'addizione e la sottrazione — gli fu risposto — potete mandarlo in un'Università germanica; ma se pretendete che sappia fare anche la moltiplicazione e la divisione occorre che lo mandiate in un'Università italiana».
Dal quale aneddoto risulta non solo la stima di cui, nel Medio Evo, godevano le Università italiane, ma anche la grande difficoltà che presentavano le due ultime operazioni, che oggi i nostri bimbi eseguiscono nelle prime classi elementari
Nell'antichità dunque l'aritmetica, per noi assai facile, era una scienza alta ed astrusa, tanto che rimase riservata solo ad alcuni ingegni superiori ed in modo speciale alla casta sacerdotale. Nell'India, che forse fu erede della scienza aritmetica italo-greca, detenevano i misteri del numero i sacerdoti birmani. Vedremo presto che lo stesso era avvenuto in Egitto.
Retaggio dunque spesso esclusivo del sacerdozio, il numero assunse quindi, sino dall'inizio, un significato sacro, divino; ed al numero ed ai suoi simboli venne cosí dato un contenuto mistico.
Come si è accennato, i cosiddetti numeri arabi, la cui introduzione in Europa si deve al Fibonacci, tardarono molto ad essere adottati dal pubblico. Ed anche per questo sistema di numerazione perdurò il mistero. Il sistema aritmetico moderno, detto di posizione, si originò per la scoperta, forse di un ignoto indiano, che rese facili tutte le operazioni introducendo il simbolo dello zero. Fu questa una delle piú grandi scoperte dell'umanità. Lo zero, che ha vari significati in aritmetica, pel pubblico grosso sta a rappresentare il nulla. E invece non è affatto cosí. Lo zero fu destinato, all'inizio, a segnare un vuoto. Era cioè il segno che indica come sul pallottoliere (uno dei piú antichi strumenti di calcolo, usato però anche oggi dai popoli orientali) una determinata fila era vuota. Facciamo un esempio. Se su di un pallottoliere risultavano su cinque file le cifre 8, 3, 5, non si sapeva come scriverle, in modo da dare un concetto della loro posizione. Poteva aversi 83005, oppure 80305 o anche 80035. L'indicazione, mediante una linea o un circoletto delle file vuote del pallottoliere, segnava la posizione in esso delle varie cifre, e quindi il valore diverso del numero ottenuto. Nacque cosí l'aritmetica detta appunto di posizione, per merito della quale le operazioni, che colle lettere numeriche risultavano complicatissime, si resero alla portata di tutti.
Questo zero portò, come si è detto, la rivoluzione nell'aritmetica e cosí apparve come qualcosa di miracoloso. Da questo concetto mistico si ebbero una quantità di espressioni rimaste nel linguaggio, e che appunto accennano ad un che di segreto, di misterioso. Gli arabi chiamarono lo zero siphr, che nel latino divenne zephr (da cui zero); per altre lingue “siphr” divenne invece “cifra”. Che poi il nuovo sistema di numerazione, che facilitava le operazioni aritmetiche, fosse qualcosa di misterioso si rileva dalle locuzioni derivate da siphr, cioè: in cifra, decifrare ecc., le quali tutte indicano qualcosa di segreto. E questo tanto piú che, come si è visto, la numerazione araba fu ostacolata dai misoneisti, dai tradizionalisti e perfino proibita dalla Chiesa. Fu in un Consiglio di Cardinali del 1299 che venne espressamente proibito l'uso delle cifre arabe. Anche l'Arte maggiore dei commercianti di Calimala nello stesso anno emise un analogo provvedimento. Ma è certo che molti mercanti usavano il nuovo sistema in segreto. Queste proibizioni contribuirono ad aumentare il misterioso nel numero. Dante, tradizionalista come tutti i sapienti del suo secolo, benché già da tempo taluni seguissero la nuova numerazione, forse la ignorava; certo non ne tenne mai conto, mantenendosi costantemente fedele alla numerazione romana.
Pitagora e i pitagorici
Una delle piú alte manifestazioni filosofico-scientifiche si affermava, seicento anni prima di Cristo, a Crotone per merito di Pitagora. Si impose difatti allora la filosofia del numero-idea, vanto della solare, armonica civiltà mediterranea, italica. Non si trattava pei pitagorici di reconditi e cervellotici significati cabalistici. Fu gloria di Pitagora di fare assurgere quasi a religione il numero.
Pitagora, il filosofo scienziato un po' mitico, che i suoi seguaci considerarono un semidio, è celebre per sé e piú che altro per la sua scuola, che continuò a lungo dopo la sua morte; e che fu mistica, iniziatica, retta dal giuramento della sacra tetractis, la quaternità. I pitagorici adoravano difatti questa divina tetrade, costituita da 1, 2, 3, 4, la cui somma dava 10. Riporto dal Dantzig la preghiera dei pitagorici alla Tetractis:
«Benedici a noi, o numero divino, tu da cui derivano gli dei e gli uomini. O santa, santa Tetrade, tu che contieni la radice, la sorgente dell'eterno flusso della creazione. Il numero divino si inizia coll'unità pura e profonda, e raggiunge il quattro sacro; poi produce la matrice di tutto, quella che tutto comprende, che tutto collega; il primo nato, quello che giammai devia, che non affatica, il sacro dieci, che ha in sé la chiave di tutte le cose».
Oltre alle speculazioni filosofiche sul numero si deve ai pitagorici la fondazione del metodo sperimentale, duemila anni prima di Galileo; e inoltre il concetto di fisica-matematica, l'idea di infinitesimo, il teorema detto appunto di Pitagora, e, nella teoria delle proporzioni, la sezione aurea, base dell'architettura e delle arti figurative sino a Leonardo almeno. Non certo oggi. È un pitagorico, Parmenide, che dimostrò sferica la Terra. E un altro pitagorico, Filolao, insegna che la Terra non è al centro dell'Universo. Aristarco nel 300 a.C. lo segue. Ma questa esatta opinione dei grandi pitagorici viene sommersa dalla dottrina geocentrica di Tolomeo. Occorreranno i genî di Copernico e di Galileo per farla rivivere.
Pitagora fu dunque uno scienziato pei suoi tempi veramente sommo, ma fu anche il filosofo che applicò il numero all'Universo. Il numero nel pitagorismo non è una quantità astratta ma una virtú intrinseca ed attiva dell'Uno Supremo, Dio, sorgente dell'armonia universale. Il numero pei pitagorici era perciò l'essenza delle cose, poiché il numero è dovunque. L'Universo esiste in grazia del numero; il Cosmos (nome proposto da Pitagora) non solo è ordine  matematico ma è altresí bellezza, armonia, poiché armonia e ordine sono inseparabili.
La scuola pitagorica ha portato l'armonia dei suoni anche nei cieli. I pianeti distano, pei pitagorici, dello stesso intervallo proporzionale, che la scuola pitagorica aveva dimostrato sperimentalmente esistere tra le note musicali. Le sfere celesti perciò risuonavano di una perfetta armonia. E all'idea pitagorica accede Dante, il quale appena iniziata la sua salita ai cieli resta attonito non solo per l'enorme luce ma anche per la magica armonia musicale dovuta a Colui che tutto muove. E per tutto il Paradiso si avrà sempre luce, canto, suono, armonia fuori dell'umano.
Pitagora non lasciò alcun trattato: difatti la sua scuola si basava solo sull'insegnamento orale agli iniziati. Fu primo Filolao, discepolo di Pitagora, che coi suoi scritti svelò una parte almeno degli insegnamenti del maestro. Filolao afferma che armonia e numero non sopportano né comportano errori. Si deve a Filolao il concetto di concordia discors, avendo egli asserito che l'armonia è l'unità del multiplo, è l'accordo del discordante, il nostro contrappunto musicale. Lo stesso autore scrive che «tutte le cose che sono a nostra conoscenza hanno un numero; poiché è impossibile che qualsiasi cosa possa esser conosciuta o immaginata senza numero».
Pei pitagorici ogni cosa fisica è decadica, poiché, come dice Teone Smirneo, la decade racchiude in sé pasan füsin; ogni proprietà ed essenza fisica. Ne riparleremo. E Temisto asserisce che i dieci numeri erano eideitikoi, formativi. Secondo Porfirio poi era dovere dell'uomo di combattere sempre l'ametrion, la mancanza di simmetrie nelle cose.
La scuola pitagorica ha pure un altro vanto: quello di avere identificato aritmetica e geometria eguagliando l'unità, origine di tutti i numeri, al punto, origine di tutte le figure. Da ciò l'importanza dei primi quattro numeri e corrispondenti punti, per cui si potevano costruire tutte le figure, e la cui somma dava il perfetto dieci.I pitagorici, che avevano trovato sperimentalmente il rapporto dei suoni, trovarono pure che le figure geometriche soggette al tatto ed alla vista erano perfezione di numero. Circolo, sfera e figure poligonali regolari, tutte costruibili con squadra e compasso, erano gli elementi con cui il Dio Supremo aveva costruito armonicamente l'Universo .



Fonte: Il giardino delle esperidi

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La Numerologia è un incredibile strumento in grado di decifrare l’uomo, i suoi meccanismi profondi, i suoi cicli personali.