Il Malocchio è una pratica malefica che affonda le sue radici nel
passato più remoto; le modalità di trasmissione, come lascia intendere
la parola, passa dallo sguardo, infatti si dice che gli occhi abbiano la
capacità di trasmettere all’esterno le forze nascoste nel corpo.
Si parla di Malocchio anche nella mitologia dei popoli antichi, lo
sguardo rabbioso delle donne dell'Illiria poteva uccidere, il gigante
Balor delle leggende celtiche poteva addirittura trasformare il suo
unico occhio in un'arma letale e Medusa aveva la capacità di tramutare
in pietra chiunque incontrasse il suo sguardo. Il potere degli occhi
viene attribuito soprattutto agli esseri umani sospettati di
stregoneria, in particolar modo alle donne.
Secondo la tradizione alcuni esercitano involontariamente con il
semplice atto di posare lo sguardo su un'altra persona. I sintomi del
malocchio sono, a livello fisico, mal di testa frequenti senza averne
mai sofferto prima e senza una causa patologica, cattivo umore e
sindrome depressiva; possono accadere degli eventi negativi spesso
all'interno della famiglia, come ad esempio un immotivato abbandono da
parte del partner, un guasto alla macchina o eventi di estrema gravità
. il Rito Magico contro il Malocchio elimina tale influenza ripulendo
l'Aura, riportando il soggetto nello stato psicofisico di prima,
cessando immediatamente gli eventi nefasti di cui era vittima .
Esistono diversi modi per proteggersi dal malocchio, nella tradizione
popolare troviamo un sistema che consiste nell'inviare un fiore per
nove giorni consecutivi alla persona che ci ha fatto il maleficio. Il
metodo funziona soltanto se i fiori sono inviati con un sentimento di
sincera amicizia.
Il più delle volte il malocchio agisce sulla sfera
sessuale: ecco perchè, secondo una vecchia usanza, toccandosi i genitali
si viene protetti dal malocchio.
Nel caso in cui il malocchio sia
stato trasmesso, esistono dei riti atti a debellarlo che variano a
seconda della regione e della località. Questi riti possono essere
tramandati soltanto in linea femminile, infatti è solo la donna l'unica
depositaria del segreto della formula e a lei soltanto spetta esercitare
il rito.
Il malocchio in Sardegna assume diverse denominazioni secondo le
località, come ocru malu nel nuorese, ogru malu nel logudorese e ogu
malu nel campidanese. Esistono interessanti espressioni dialettali anche
per designare l’avvenuto maleficio: l’occhio che aggredisce è un occhio
cattivo (ogu malu) oppure un occhio che si posa (si ponidi) recando
danno, oppure che prende d’occhio (pigai de ogu).
Malocchio è
l’occhio dell’altro, solitamente di chi non fa parte della famiglia e
non è quindi legato da vincoli di sangue, che, una volta giunto alla
meta, crea una situazione di difficoltà portando via un determinato
bene, che può essere la bellezza, la salute o la fortuna, che viene
perciò mangiato dal colpo dell’occhio (manigara de su corpu ‘e soju).
Nei paesi sardi la donna ha la prerogativa di essere sia soggetto che
oggetto del malocchio: è colei che è più esposta al rischio del
malocchio ma è anche colei che getta il malocchio più potente. È sempre
in linea femminile che vengono ereditati gli oggetti magici, gli
amuleti, che preservano dal malocchio ed è sempre la donna che gestisce
la vita e la morte attraverso la pratica della “medicina dell’occhio”.
La
denominazione “medicina dell’occhio” è l’unica che si riscontri in
maniera diffusa in tutte le province sarde. Questa pratica si può
apprendere sia in famiglia che da estranei. Per diventare guaritori è
necessario essere riconosciuti persone adatte, infatti solo in
pochissimi casi il passaggio a tale condizione è avvenuto attraverso
prove di verifica o attraverso un vero e proprio rito.
Per quanto riguarda il rito terapeutico sono stati registrati ben
ventiquattro modi diversi di esecuzione all’interno dei quali si
riscontra la presenza, diversamente combinata, dei seguenti elementi: i
“brebus”, preghiere quali il Padre Nostro, l’Ave Maria, la recitazione
del Credo, spesso assieme all’uso di grano, acqua, sale, olio, orzo,
riso, pietra, corno di muflone, di cervo o di bue, l'occhio di Santa
Lucia, il carbone e la carta. Per conseguire la guarigione il rito va
ripetuto da un minimo di tre ad un massimo di nove volte. Per la
risoluzione dei casi più gravi in genere è previsto l’intervento di tre
diversi operatori.
L’altro sistema fondamentale di difesa, quello
preventivo, è costituito da tutta una serie di oggetti come gli amuleti e
gesti apotropaici destinati ad annullare qualunque possibile influsso
malefico proveniente dagli altri.
Tra gli scongiuri rivolti al possibile portatore di malocchio
ricordiamo l’uso di sputare per allontanare il male, attestato in
Sardegna da un manoscritto anonimo del settecento, toccare un oggetto di
ferro, di corno o le parti genitali, bestemmiare al suo passaggio,
tirar fuori velocemente la punta della lingua per tre volte, oppure fare
le fiche al suo indirizzo a fura (di nascosto), ecc. Il fare sas ficas è
usanza diffusa sia fra gli uomini che fra le donne, tale uso era
certamente noto anche a Cagliari, dove i vecchi ricordano il detto “Ti
dexit comenti sa fica in s’ogu” (ti giova come la fica nell’occhio).
Oltre
alle tecniche gestuali nell’isola si è sviluppata tutta una serie di
oggetti apotropaici, di tipologia tipicamente mediterranea, che hanno
acquisito valori culturali con particolari connotazioni; le ricerche
svolte a tal proposito dimostrano, infatti, che gli amuleti sardi, pur
avendo molteplici valenze, sono quasi tutti riconducibili all’ideologia
del malocchio.
Purtroppo molti amuleti erano così poveri e deperibili che nessuno ha
mai avuto occasione o interesse a conservarli e sono giunti fino a noi
solamente attraverso il ricordo dei vecchi; diverso è il discorso
riguardante gli amuleti che erano anche oggetti di oreficeria o
costituiti da materiali ritenuti in qualche modo preziosi. La maggior
parte di essi ha radici precristiane e ha subito un’evoluzione nel
tempo; se prima, ad esempio, erano caratterizzati dall’uso di un
determinato materiale, in periodi successivi il materiale è cambiato,
conservando solo similitudini di forma o colori. Ad es. Sa sabegia,
che era inizialmente tonda prevalentemente in pietra nera o in corallo,
si è evoluta con l’utilizzazione di materiale non naturale, come il
vetro sfaccettato nero o addirittura la pasta di vetro policromo, di
sicura importazione, il cui uso può essere stato introdotto sia per la
difficoltà di reperire e lavorare il materiale originario, sia per una
maggior ricercatezza che il nuovo materiale “esotico” poteva vantare. È
certo tuttavia che sostituendo il materiale, l’amuleto non perdeva né
l’eventuale significato simbolico, né la sua funzione apotropaica.
L’unica condizione perché l’amuleto agisca è “aver fede”, credere cioè
nel suo potere; in alcune zone, infatti, l’efficacia dell’amuleto è data
dal fatto che esso debba essere abbrebau, su di esso devono cioè essere stati recitati is brebos le “parole, le preghiere magico-religiose”.
Nota in Sardegna come anti-malocchio per eccellenza, è la pietra nera
in gavazzo o giaietto (lignite picea), onice, ossidiana; tonda, sempre
incastonata in prata (cioè in argento, perché si credeva avrebbe perso
il suo potere se legata in oro).
La sabegia simboleggia il globo
oculare, nella fattispecie l’occhio buono che si contrappone a quello
cattivo attirandone lo sguardo; la sua funzione consiste nel salvare chi
ne è munito, spaccandosi al posto del cuore della persona “guardata”.
La terminologia con cui viene identificata è varia e difficilmente
localizzabile. Nota come sabegia nel Campidano di Cagliari, se ne è
perduta la memoria nel capoluogo, dove deve essere stata però usata,
tanto che se ne conservava il ricordo nei primi decenni del secolo
scorso. Con pochissime varianti fonetiche ritroviamo questo termine
nella Barbagia dove è invece conosciuta come cocco, nella Gallura, nel
Logudoro e ad Orgosolo è invece generalmente noto col nome di
pinnadellu, mentre nell’oristanese, a Desulo e nella Barbagia di Belvì
viene denominato pinnadeddu.
Tradizionalmente nero, l’amuleto si ritrova talvolta anche rosso, di
corallo, specialmente in Gallura e in alcuni paesi barbaricini, dove
prende il nome di corradeddu ‘e s’ogu leau (corallino del malocchio) e
dove lo si portava appeso alla spalla e ricadente sul braccio, unito a
mazzo con altri amuleti sempre di corallo e incastonati in argento. In
ogni caso la sabegia mantiene sempre la caratteristica di essere simbolo
dell’occhio.
Sa sabegia veniva appesa alle culle, mentre i bambini
più grandicelli la portavano generalmente al polso, legata con un
fiocchetto verde e veniva loro tradizionalmente regalata dalla nonna o
dalla madrina di battesimo.
Le donne invece la esibivano al collo o appesa al corsetto.
Fonte: http://www.contusu.it/leggende-e-tradizioni/874
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